giovedì 6 marzo 2014

Birre straniere a basso costo – ecco quello che c’è dietro e che dovete sapere

L'inchiesta del Salvagente domani in edicola e da oggi nel nostro negozio on line.

Di Marta Strinati

Ci sono la bière francese e quella belga. La beer inglese e la bier tedesca. La pivo slovena e slovacca, e la piwo polacca. Le troviamo tutte sullo scaffale del supermercato con il nome commerciale di birra. E sembrano birre. Anche molto convenienti nel prezzo. Quello che non ci viene detto è che in realtà si tratta di bière o piwo. Insomma di birra nei paesi di provenienza, ma non in Italia. Per capirci, se un birraio italiano mettesse in commercio un prodotto di quel genere sarebbe fuorilegge, quindi costretto a ritirare tutto e a pagare sanzioni salate.

C’è poco malto

È questo il succo dell’ultima inchiesta del settimanale il Salvagente, che nel numero in edicola da giovedì 27 febbraio e da oggi nel nostro negozio on line, accende i riflettori su un fenomeno preoccupante: quello delle birre straniere a prezzo stracciato e qualità assai discutibile.
Protagoniste di un’invasione senza precedenti, le birre straniere low cost nascondono, secondo quanto appurato dal settimanale dei consumatori, una “debolezza” qualitativa: sono meno concentrate della birra italiana. Tecnicamente, la differenza consiste in un livello troppo basso di grado Plato, un indice che misura la concentrazione di materia prima, soprattutto malto, presente nel mosto prima della fermentazione. Il “difetto” è quantificato da analisi di laboratorio, che hanno rilevato livelli di grado Plato spesso fermi al 70% dello standard.


La legislazione italiana

La legge italiana è inflessibile (con i produttori italiani): una birra può essere commercializzata soltanto se ha un grado alcolico non inferiore a 3,5 e un grado di concentrazione (grado Plato) pari ad almeno 10,5. Un valore (il Plato) che svela indirettamente anche la quantità di materia prima impiegata nel mosto.


E quella estera

A dispetto della regola, i prodotti low cost di importazione sono venduti come “birra”, ma molto spesso non raggiungono il grado Plato minimo previsto in Italia. In Belgio, la cosiddetta birra da tavola ha un valore compreso tra 1 e 4, oltre il quale il prodotto è “promosso” a birra. In Spagna basta passare la soglia del 6% e in Germania del 7%. Nonostante la grande diversità, grazie alla normativa europea tali birre sono autorizzate a essere commercializzate in Italia.


Birrifici italiani in difficoltà

Da anni partono a fiumi dai grandi stabilimenti situati in Belgio, Polonia, Slovenia e vari altri paesi europei ormai specializzati nella produzione di birre a basso costo. E invadono gli scaffali della grande distribuzione italiana, dove arrivano per una sorta di “naturalizzazione” imposta dalla normativa europea. “I birrifici confermano di subire la concorrenza straniera, più competitiva. Ci si chiede come facciano a proporre prezzi più bassi. Questo fenomeno potrebbe essere una spiegazione. Si tratta di capire se possono farlo”, spiega al Salvagente Rolando Manfredini di Coldiretti.


Etichette poco trasparenti

Un giochino oscuro agli occhi del consumatore. Vendute accanto alla birra comune, le straniere low cost vantano un grado alcolico nella norma. Ma su quanto siano concentrate nulla ci è dato di sapere, perché il grado Plato non è mai dichiarato in etichetta.
Premesso che il fenomeno non attiene alla sicurezza (salvo prova contraria), ma soltanto alla qualità, resta da capire come riconoscere le birre straniere low cost che non rispettano lo standard qualitativo italiano. Per evitarle o per continuare a comprarle ma consapevolmente, senza subire le furbizie del mercato. In mancanza di informazioni, infatti, ogni birra a basso costo proveniente dall’estero può essere sospettata di rientrare nella categoria delle birre poco concentrate.


Occhio al contenitore

A colpo d’occhio potrebbe essere indicativo il contenitore. Soggette al risparmio nell’intero percorso, dalla fabbrica allo scaffale, le birre straniere low cost non viaggiano mai nella bottiglia di vetro. Di regola sono confezionate nel Pet (sob!) o in lattina, soluzioni meno pesanti e più facilmente trasportabili, sempre all’insegna del massimo risparmio.

Fonte: ilsalvagente.it 
Tratto da: curiosity2013.altervista.org


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