A nessuno di costoro viene in mente che se siamo arrivati a questo punto, la responsabilità è anche di quei governi che hanno permesso alle banche e alle società finanziarie di dettare le regole del gioco. Sono così passate nella generale indifferenza anche le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve e le reazioni dei mercati finanziari avrebbero dovuto spingere ad una serie riflessione su quanto è accaduto e quanto potrà ancora accadere. L’annunzio di Ben Shlomo Bernanke che dalla seconda metà del 2014 la Federal Reserve smetterà di comprare titoli pubblici e no per pompare liquidità nel sistema e per sostenere la domanda interna, e ovviamente per aiutare le banche, non è stata letta nella maniera dovuta. Negli Stati Uniti, ha spiegato il banchiere, la ripresa è ormai stata avviata e l’anno prossimo apparirà evidente. Al contrario, i “mercati finanziari” hanno subito capito dove Bernanke volesse andare a parare e i listini, in America e in Europa, sono crollati.
Basta quindi con gli aiuti a pioggia alle banche e al sistema finanziario. Tra Federal Reserve e Tesoro Usa, abbiamo già dato. Questo il messaggio che è stato fatto passare. Quello di un Paese, gli Usa, che è super indebitato e che non può continuare ad indebitarsi per sostenere la domanda interna. Tra Stato Federale (oltre il 100% del Pil) e autorità locali, il debito ha raggiunto livelli astronomici. A questo si aggiunge poi il debitto delle famiglie che pigliano soldi in prestito per comprare qualsiasi cosa. L’annuncio di Bernanke ha avuto immediati riflessi anche in Europa. Non è un mistero infatti che la Fed da tempo aveva preso a comprare titoli pubblici dei Paesi europei a rischio. Quelli dell’area Sud come Spagna, Portogallo e Italia. Ma non lo aveva fatto per bontà d’animo quanto invece per offrire ossigeno all’economia Usa, drogando la domanda interna in Europa. L’annuncio di Bernanke di non voler più comprare titoli pubblici Usa ha così avuto riflessi in Europa. E’ stato così inevitabile che sia risalito lo spread dei Bonos spagnoli e italiano rispetto a quello dei Btp tedeschi.
La tirata di Bernanke potrebbe essere la premessa per una analoga misura da parte della Banca centrale europea. C’è però una piccola differenza. Draghi ha recentemente dichiarato che l’istituto di Francoforte continuerà con la sua politica accomodante (il suo tasso di interesse base, quello di riferimento è allo 0,5%) e che è pronta a misure da lui definite “non convenzionali” per continuare a rifornire di liquidità il sistema finanziario e sostenere la domanda interna e la crescita economica. Una crescita economica che in Europa non si è ancora vista e che, nelle previsioni di Draghi si vedrà, forse, nel 2014. Quest’anno ci saranno dei timidi segnali soltanto in autunno. Con la speranza inespressa di Draghi che Angella Merkel non esca sconfitta dalle elezioni del 22 settembre, altrimenti ci sarebbe il pericolo, ovviamente secondo Draghi, che il nuovo Cancelliere socialdemocratico abbandoni la politica economica fin qui seguita, all’insegna del rigore dei conti pubblici da imporre a tutta l’Unione Europea.
L’unica differenza con Bernanke è che Draghi aveva dichiarato che la Bce continuerà ad acquistare i titoli pubbili da 1 a 3 anni dell’area Euro, grazie al meccanismo dell’Omt per tenere basso lo spread con i Bund. Ma a dare il senso dell’atteggiamento dei mercati finanziari è lo spread tra i titoli decennali, sui quali l’unico autorizzato ad intervenire è il meccanismo europeo salva Stati.
Resta il fatto che quello tra Fed e Bce è un gioco di sponda in virtù del quale la banca guidata dall’ex Goldman Sachs non può che andare a ruota dei colleghi di oltre oceano. Con la grande differenza che la Federal Reserve e il Tesoro Usa hanno maggiori e quasi illimitate possibilità di manovra. Il dollaro è infatti la moneta di riiferimento nelle transazioni internazionali in conseguenza del ruolo degli Usa come prima potenza militare globale. Se così non fosse, la quotazione e la credibilità del dollaro dovrebbe scontaren in negativo i cosiddetti “fondamentali” dell’economia, come il debito federale e quello delle famiglie.
Resta il fatto che quello tra Fed e Bce è un gioco di sponda in virtù del quale la banca guidata dall’ex Goldman Sachs non può che andare a ruota dei colleghi di oltre oceano. Con la grande differenza che la Federal Reserve e il Tesoro Usa hanno maggiori e quasi illimitate possibilità di manovra. Il dollaro è infatti la moneta di riiferimento nelle transazioni internazionali in conseguenza del ruolo degli Usa come prima potenza militare globale. Se così non fosse, la quotazione e la credibilità del dollaro dovrebbe scontaren in negativo i cosiddetti “fondamentali” dell’economia, come il debito federale e quello delle famiglie.
Momenti bui si annuncianmo così per l’Italia. La riduzione della liquidità in circolazione negli Usa provocherà un aumento dei tassi di interessi che con un effetto domino si trasferirà in Europa dove il rialzo dello spread tra Btp e Bund è già ripartito nonostante l’Esm e nonostante l’Omt. Inoltre, con il debito pubblico che a fine anno toccherà il 130% sul Pil e l’anno prossimo il 134%, aumenteranno le necessità di cassa del Tesoro sul lungo termine sia come capitale che come interessi. Il rialzo dei tasi porterà maggiori difficoltà anche per le imprese italiane che, tranne quelle di grandi dimensioni, non riescono a farsi prestare soldi dalle banche. Le quali, tra novembre 2011 e marzo 2012 hanno preso a prestito dalla Bce ben 260 miliardi di euro che sono rimasti però in cassa o sono stati usati per comprare Bot e Btp. E poi ci si stupisce che l’economia italiana sia ferma. -
Fonte: imolaoggi.it