venerdì 27 settembre 2013

Ex gioielli italiani

La vendita agli spagnoli di Telecom Italia è diventata un caso politico, come Alitalia. E si alzano le barricate in difesa dell'italianità. Ma da anni i nostri marchi stanno andando nelle mani di stranieri. E sembrava che nessuno se ne fosse accorto. Moda, alimentare, energia, consumi e persino banche. Ecco tutte le aziende del made in Italy controllate da azionisti di Paesi stranieri.

Quando ormai la vendita di Telecom era cosa fatta, s'è alzato, tardivo, il coro delle polemiche. Parlamentari ed esponenti politici si sono affrettati ad esprimere il loro dissenso a suon di dichiarazioni. Il presidente Letta ha assicurato che il governo vigilerà sul caso, sia pure nei margini limitati che un'azienda privata permette. Il presidente dell'azienda, Franco Barnabè, in audizione al Senato, ha addirittura detto di aver appreso solo dopo, dai comunicati stampa, della recente modifica dell'accordo parasociale tra gli azionisti di Telco, che nella serata del 23 settembre ha sancito la salita di Telefonica dal 46 al 65% di Telco, la holding che controlla il 22,4% di Telecom Italia, con un'opzione per gli spagnoli a salire per breve termine fino al 70%, spostando di sei mesi la finestra per dare le disdette al patto Telco.

Tutti a difendere, ora, l'italianità delle nostre aziende. Ma Telecom non è la prima e non sarà l'ultima a passare in altre mani. Alitalia sembra destinata ad essere scalata da Air France, e il governo è pronto a un altro pacchetto di privatizzazioni per recuperare liquidità. Sulla piazza ci sono già sono le tre Ansaldo - Energia, Sts e Breda - su cui ci sono i coreani di Doosan, gli americani di General Electic e i giapponesi di Hitachi, e poi si vende pure il ramo assicurazioni di Poste Italiane: Posta Vita. 



Finirà tutto all'estero, visto che in Italia non c'è nessuno disposto a investire. E appena finisce l'aiuto dello Stato - come nel caso di Alitalia - si cerca qualcuno più forte per rientrare nell'investimento. La nazionalità non importa affatto. Strano scandalizzarsi ora, visto che gli affari con l'estero vanno avanti da anni. Quindici anni fa il multimiliardario del lusso Bernard Arnauld con la sua Lvmh si innamorava di Gucci, per poi cederla al rivale di sempre Francois-Henry Pinault. A fine settembre 2011 Lvhm si è accaparrata il 98,09% di Bulgari la società fondata da Satirio Bulgari nel 1884, e prima ancora Emilio Pucci e Fendi. L'ultima a finire nelle mani di Arnauld è stata Loro Piana. Mentre Francois Henri Pinaulte con la sua Ppr, ora diventata Kering, ha preso a suon di miliardi pure Bottega Veneta e Sergio Rossi, e salvato e acquisito la Richard-Ginori, un pezzo di storia dell'arte della porcellana italiana nata nel Settecento. La Gianfranco Ferrè è stata ceduta al gruppo Paris Group di Dubai, mentre Valentino è ora della casa reale del Qatar. 

Pure la Rinascente è stata ceduta ai thailandesi di Central Retail. Nell'alimentare, fece scalpore l'acquisizione di Parmalat, in mano francese. Ceduta pure la Buitoni alla Nestlè. E poi la Gancia, passata all'oligarca russo della vodka Roustam Tariko, e l'olio Bertolli ora del gruppo spagnolo Deoleo proprietario anche di Carapelli, Sasso, Minerva oli. Sempre di Nestlè è la Perugina con tutti i suoi Baci. La svizzera Unilever si è presa l'Algida e l'Antica gelateria del Corso. E la lista è lunga e lo diventa anche di più guardando ad altri settori: Edison è di proprietà di Electricitè de France, Acea ha fra i suoi azionisti Gdf-Suez, Enel ha annunciato la cessione della sua quota in Severenergia a Rosneft. Quanto alle banche, la Banca Nazionale del Lavoro fa parte del colosso francese Bnp Paribas, mentre Cariparma è controllata da Credit Agricole. Ma sembra che nessuno se ne sia accorto. 


Fonte: cadoinpiedi.it

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