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domenica 25 gennaio 2015

Un operatore USA di droni senza pilota si autoaccusa: ho ucciso 1.600 persone

La guerra è sempre più "asettica": chi preme il pulsante che lancia un missile non si rende conto fino in fondo delle conseguenze che avrà quel gesto. La coscienza è "anestetizzata" dall'aver eseguito un ordine imposto dai propri superiori e dal fatto che chi lancia un missile o sgancia una bomba da un jet non vedrà mai la distruzione e la morte provocata.

Negli ultimi anni sono entrati in scena i droni, per operazioni di spionaggio ma anche incursioni aeree prive di pilota,  ed i robot esploratori di terra, che vengono mandati in avanscoperta dai reparti di fanteria che operano sul territorio nemico.

Chi gestisce e pilota queste tecnologie, comandate a distanza, ha l'impressione di giocare ad un videogames. Le telecamere del drone inquadrano il terreno sottostante e gli "obiettivi" da colpire, che l'operatore abbatte schiacciando un pulsante, proprio come in un videogames. E proprio come un videogames gli operatori si felicitano a distanza per essere riusciti a colpire il bersaglio, come se avessero fatto "centro" al tiro al bersaglio di un luna park.

E così succede che un militare americano, operatore di drone, dopo aver ucciso oltre 1.600 persone mediante un drone, improvvisamente ha un rimorso di coscienza: razionalizza che non ha giocato ad un videogames, ma ha sparato razzi e proiettili veri, provocando una strage: che pur "autorizzata" e "comandata" dall'alto, è pur sempre tale. 

Per lui non ci saranno processi, ma medaglie al valore e promozioni. Ma in cuor suo, sa bene di avere tolto la vita a moltissime persone, buona parte delle quali magari innocenti, "danni collaterali", come dicono i militari. Grazie al suo "impegno", 1.600 famiglie piangono un loro caro, e sicuramente qualche "famiglia" è stata cancellata dai bombardamenti...


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Brandon Ryant, un ex operatore addetto ai droni delle Forze Armate Statunitensi, ha chiesto scusa alle famiglie delle vittime degli attacchi aerei degli USA provocati dalle operazioni a cui egli stesso aveva partecipato. Con una lista di più di 1.600 morti sulle sue spalle, Bryant riconosce che gli attacchi si realizzavano “con una completa incertezza”.
“Mi dispiace che questo errore sia avvenuto. Sto facendo tutto il possibile per evitare che si producano più errori (…….) Non lo potrei sopportare”, afferma Brandon Bryant, il quale ha lasciato il suo lavoro nel 2011 dopo di aver lavorato per cinque anni nelle missioni di droni statunitensi per bombardare obiettivi in Pakistan ed in Iraq, in una intervista rilasciata ad RT.
Inoltre Bryant riconosce che “gli operatori erano carenti di visibilità e non erano sicuri della identità degli obiettivi su cui sparavano”. “Noi scorgevamo soltanto una sagoma, ombre di persone e uccidevamo le ombre. Non c’era nessun tipo di supervisione (…..) ed il programma era marcio da dentro”, confessa.
L’ex operatore statunitense di aerei non pilotati ha già ammesso che lui vive un rimorso di coscienza per la sua partecipazione a questi attacchi e sempre si ricorderà come aveva visto, sul suo schermo, morire dissanguate alcune delle sue prime vittime.

venerdì 24 ottobre 2014

Il grande crimine di Obama: i droni non uccidono i terroristi

Centinaia di droni vagano per il mondo alla silenziosa ricerca di membri di Al Qaida da eliminare. Amnesty: nel 96% dei casi si tratta di vittime innocenti

di Franco Fracassi - popoffquotidiano.it
Obama-Drones-2
Solo in Pakistan la morte dal cielo è arrivata per 2.379 persone. Poi c’è l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia, lo Yemen, la Somalia eccetera eccetera. Nel 2009 il presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha dato via all’ultima frontiera della lotta al terrorismo: l’utilizzo di droni senza pilota per colpire la rete internazionale di Al Qaida e distruggerla. Nel corso di questi cinque anni tutte le associazioni che si battono per il rispetto dei diritti umani hanno accusato la Casa Bianca di violarli in nome della guerra al terrore. Ma quando qualcuno è andato a verificare la vera identità delle vittime la sorpresa è stata grande. «Siamo rimasti senza parole. Solo il quattro per cento degli esseri umani assassinati dai droni sono risultati essere terroristi. Tutti gli altri sono stati uccisi per errore. Anche se ci siamo chiesti se si è trattato realmente di errori o di omicidi intenzionali», ha dichiarato Tom Warren, del Bureau of Investigative Journalism dell’Università di Londra.

sabato 29 marzo 2014

Cosa sono e a cosa servono i droni di Facebook

"L'avvenire dell'economia mondiale risiede nella conoscenza, ed internet ne è la colonna vertebrale"  questo è lo slogan del progetto internet.org, salito recentemente alle luci della ribalta perché tra le molti componenti che ne fanno parte, insieme ad una serie di imprese e di associazioni no profit, c'è ancheFacebook. L'obiettivo è molto semplice: attualmente solo il 33% della popolazione mondiale puòconnettersi alla rete. Questa percentuale deve aumentare fino a dare questa opportunità di connessione a tutti gli uomini del pianeta, ovunque essi siano.
Ericsson, Nokia, Opera, Samsung... sono molti i nomi delle grandi aziende che si sono unite al progetto alla cui testa si è posto Mark Zuckerberg. Già ad inizio mese il fondatore del social network si era impegnato nell'acquisto di una società del New Mexico, la Titan Aereospace, specializzata nella produzione di droni alimentati ad energia solare. I 60 milioni di dollari investiti (una bazzeccola rispetto alla cifra pagata per assicurarsi WhatsApp) permetteranno di poter mettere in moto veicoli con un'autonomia di volo di oltre cinque anni.
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