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lunedì 19 maggio 2014

Poste ed Enav: privatizzazioni al via

Privatizzazioni al via. Il debito pubblico pesa come un macigno, servono risorse da liberare e il governo Renzi vuole fare cassa vendendo alcuni dei gioiellini di famiglia, o meglio una loro parte. Così ieri il Consiglio Ministri ha messo nero su bianco la cessione del 49% di Enav, l’Ente nazionale di controllo per l’aviazione civile che finora apparteneva al 100% al Tesoro, e del 40% di Poste.
La cessione di quote non di controllo delle due aziende in realtà era già stata decisa dal precedente governo Letta. L'ex ministro dell'Economia Saccomanni contava di incassare 5 miliardi dalle cessioni.
Per Enav lo Stato manterrà la quota di controllo dell'ente con il 51%. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:
“prevede l'alienazione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze del capitale di Enav fino al 49%"
cioè:
"la cessione di una quota che assicuri il mantenimento in capo allo Stato di una quota di controllo assoluto (51%)".
Per assicurare la più alta flessibilità durante il processo di vendita, si legge ancora nella nota diffusa da Palazzo Chigi:

"lo schema di decreto prevede che l'operazione potrà essere effettuata anche in più fasi, ricorrendo, anche congiuntamente, a un'offerta pubblica di vendita (rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti di Enav e delle sue controllate, e/o a investitori italiani e istituzioni), e/o a una trattativa diretta da realizzare attraverso procedure competitive e comunque assicurando che non insorgano situazioni di conflitti di interessi".
Per la privatizzazione di Enav, che gestisce qualcosa come 2 milioni e 600mila voli in un anno:
"sono previsti incentivi per i dipendenti in caso di offerta pubblica di vendita. La delibera del Consiglio dei Ministri prevede comunque l'offerta pubblica quale percorso prioritario da perseguire, in presenza di un adeguato contesto di mercato".
Per Poste italiane il governo è intenzionato a mettere sul mercato a quota non superiore al 40% e anche qui la cessione potrà avvenire in più fasi:
"viene regolamentata l'alienazione di una quota della partecipazione non superiore al 40%, disponendo che tale cessione - che potrà essere effettuata anche in più fasi - si realizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del Gruppo Poste Italiane, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali".
Inoltre lo schema di decreto:
“prevede che, al fine di favorirne la partecipazione all'offerta, potranno essere previste per i dipendenti del Gruppo Poste Italiane forme di incentivazione, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, in termini di quote dell'offerta riservate (tranche dell'offerta riservata e lotti minimi garantiti) e/o di prezzo (ad esempio, come in precedenti operazioni di privatizzazione, bonus share maggiorata rispetto al pubblico indistinto) e/o di modalità di finanziamento".
Lo Stato attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze fin qui ha detenuto il 100% del capitale di Poste Italiane che nel 2013 ha raggiunto un fatturato di 26 miliardi di euro per un utile netto di un miliardo.
© Getty Images - Tutti i diritti riservati

Fonte: soldiblog.it
 

lunedì 16 settembre 2013

PRIVATIZZAZIONI: ECCO CHI VUOLE LA “SVENDITA” DELL’ ITALIA

Intervista a Alberto Bagnai
Di Paolo Nessi

Le privatizzazioni non sono sempre un male, ma quelle compiute in Italia negli anni Novanta vengono ricordate con il termine meno lusinghiero di “svendite”. Oggi, per far fronte a un crescente debito pubblico, il governo non esclude di mettere sul mercato le società – tra cui dei veri e propri “gioielli” – che ancora lo Stato possiede o controlla, come Enel, Eni e Finmeccanica. Al Workshop Ambrosetti di Cernobbio si è tornati a parlare del tema con la possibile presentazione di un piano di privatizzazioni entro fine mese e la conferma del presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, dell’apertura di un dossier relativo ad Ansaldo. Corriamo il rischio di svendere dei pezzi pregiati della nostra industria, magari strategica? Abbiamo fatto il punto della situazione con Alberto Bagnai, Professore di Politica economica all’Università di Pescara.
Trova l’operazione  politicamente legittima?
Dal punto di vista economico, no. Il tentativo di abbattere il debito tramite la cessione di attività pubbliche si è sempre rivelato un fallimento: ogni volta che si è proceduto in questa maniera, lo stock di debito non è stato sensibilmente intaccato; in compenso, lo Stato si è privato di un importante fonte di entrate. È evidente, infatti, che se un’azienda viene ceduta all’estero (il nostro governo parla, in tal senso, di “afflusso di capitali esteri”) i suoi profitti andranno fuori dall’Italia. Un’evidenza che, di recente, ha ribadito Romano Prodi, su Il Messaggero del 17 agosto.

lunedì 22 luglio 2013

“Svendono l’Italia e la chiamano modernità” Piano privatizzazioni, parla Maurizio Zipponi

Zipponi, Lei più volte, anche su questo giornale,  ha denunciato il progetto governativo di  vendere gli ultimi “gioielli di famiglia” pubblici come Eni, Enel e Finmeccanica. Il ministro Saccomanni, al G20 di Mosca,  ha annunciato che proprio queste aziende sono a rischio privatizzazione a causa della necessità di abbattere il debito pubblico. Ci può spiegare meglio quello che sta accadendo? 
Quello che sta accadendo è che in autunno finiranno praticamente i soldi per tutti: per lo Stato, per le imprese, per le famiglie. Altro che pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione, qui sono a rischio gli stipendi pubblici! Andiamo incontro a un periodo drammatico, forse non ai livelli della Grecia,  ma  le conseguenze sociali saranno comunque disastrose e la classe dirigente invece che intaccare i privilegi vuole ancora una volta scaricare il costo della crisi sui ceti più deboli, su lavoratori e pensionati. La vendita di Eni o di pezzi di Finmeccanica è una follia, un modo per distruggere il sistema Italia che aggraverà ancora di più il nostro declassamento industriale rendendoci di fatto una colonia.
Chi si avvantaggerà dell’eventuale vendita di questi asset strategici italiani? 
Sicuramente ne trarrà beneficio l’economia tedesca: la Siemens sembra già interessata allo shopping industriale così come alcune aziende francesi. L’Italia è ormai un immenso supermercato a cielo aperto in cui in saldo si vendono i nostri pezzi migliori come è già accaduto con importanti marchi di moda.
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