© Foto: AP/Hussein Malla
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_08_06/In-Kurdistan-una-tragedia-annunciata-e-taciuta-dai-media-6880/
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La travolgente avanzata dei terroristi dello Stato Islamico è oramai lontana dall’attenzione dei nostri media ma il pericolo che rappresenta per le minoranze locali e per tutti i popoli non considerati “fratelli nella fede” continua ad aumentare. Mentre i nostri giornalisti si concentrano sulle vittime della guerra in atto nella striscia d Gaza, un’altra tragedia di dimensioni molto maggiori si sta consumando nella zona tra Iraq, Siria e Kurdistan iracheno senza che il mondo se ne accorga.
Si tratta degli Yazidi, seguaci di una religione nata proprio in quei luoghi ben più di 4000 anni fa. Nonostante siano di lingua curda, durante il regime di Saddam gli Yazidi furono dichiarati forzatamente “arabi” per sbilanciare la locale composizione etnica. La loro è una religione sincretica precedente sia al Cristianesimo sia all’Islam che né l’uno né l’altro sono riusciti a soffocare nel corso dei secoli. Mutua elementi zoroastriani miscelati, nel corso del tempo, con innesti cristiani, sufi (mistici islamici) e giudaismo cabalistico e pratica riti secolari ai limiti di quello che noi considereremmo pratiche magiche.
Per questo motivo sono stati sempre visti con sospetto dai musulmani che li accusano di adorare il diavolo. I seguaci di questa religione sono concentrati soprattutto nel territorio tra Mosul e Sinjar, a un centinaio di chilometri a sud-ovest del confine amministrativo curdo-iracheno. I curdi, notoriamente e da sempre tolleranti verso qualunque fede praticata li hanno sempre considerati dei loro, e alla notizia della conquista di Mosul da parte dei guerriglieri del califfato, si sono organizzati per ricevere i profughi già incamminatisi verso Duhok e Zaho e proteggere quelli che avevano preferito cercare un temporaneo rifugio sulla montagna di Sinjar.
E’ proprio sulle pendici di questo monte che si trovano adesso poco meno di 200 mila profughi yazidi fuggiti dai villaggi e dalle città vicine ed è lì che i peshmerga curdi hanno mandato i propri reparti per difenderli. Purtroppo i 100 e più chilometri che separano la zona dalle retrovie curde costituiscono un ostacolo logistico di cui hanno immediatamente approfittato i terroristi per tagliare, circondando il monte Sinjar, ogni possibilità di rifornimento.
La crudeltà dei militanti dell’ISIS verso qualunque professione di fede alternativa e le esecuzioni sommarie gia’ eseguite in Siria e in Irak sono così spietate da essere state condannate perfino dalla stessa Al Qaida. Ciò che si teme, a ragion veduta, è che qualora i fanatici islamisti riuscissero a conquistare il monte Sinjar, la gran parte dei presenti possa subire la sorte delle migliaia di vittime che li hanno preceduti.
I peshmerga curdi sono ritenuti l’esercito di terra più determinato di tutta la zona ma le loro armi risalgono ancora ai primi anni ‘90 (soprattutto sovietiche, per aiutarli contro Saddam Hussein) e da allora, e soprattutto dal 2003, non è più stato loro possibile acquistarne di nuove per la paura, soprattutto americana, che potessero essere usate per imporre l’indipendenza. A ciò va aggiunto che, da molti mesi, Baghdad non versa più al governo regionale il 17% che gli dovrebbe dai redditi dello Stato centrale e che quindi tutto l’equipaggiamento soffre delle restrizioni finanziarie. Al contrario, i terroristi hanno carri armati, humvee, lanciarazzi, cannoni e altro equipaggiamento americano moderno che hanno sottratto all’esercito iracheno in fuga. E’ così che si spiega come, nonostante il generoso tentativo dei curdi, le loro linee di rifornimento siano potuto essere tagliate e i pochi di loro sopravvissuti trovarsi circondati, con le famiglie Yazidi, sul monte Sinjar.
I miliziani dello Stato Islamico stanno avanzando senza tregua e, oltre ad aver occupato Mosul, si sono impadroniti anche della stessa città di Sinjar e di altri villaggi. Ancora più grave è che sembrano riusciti a impadronirsi delle dighe di Mosul e Haditha. Queste due sono un punto chiave per la fornitura di gran parte della rete elettrica irachena e, se confermate le voci che le danno sotto il loro controllo, possono condizionare la sopravvivenza quotidiana degli abitanti di tutto il sud del Paese. Con lo stesso obiettivo hanno occupato anche i pozzi petroliferi di Ain Zalah e quelli in via di avviamento di Batma e Sufaja.
Purtroppo, dopo la fuga dei soldati di Baghdad, solo i curdi avrebbero la capacità di contrapporsi all’avanzata delle milizie terroriste ma è certo che, senza un’efficace copertura aerea (sembra che finalmente Al Maliki abbia inviato qualche caccia nella zona) e senza il rifornimento di armi e munizioni moderne, è ben difficile che possano vincere sui ben armati nemici.
I governi occidentali, USA in primis, hanno finora rifiutato la vendita di armi ai curdi ma oggi non sembra potervi essere scelta: o l’occidente interviene direttamente (cosa improbabile e non raccomandabile per tanti motivi) oppure deve armare anche gli unici motivati e capaci di sconfiggere i terroristi e i loro locali sostenitori.
L’alternativa non è solo l’avanzata e probabile vittoria del pericoloso Califfato ma la prossima carneficina degli yazidi e di qualche centinaio di cristiani e armeni rifugiatisi con loro sulle pendici della montagna.
Facendo finta di non sapere e non facendo nulla, il mondo si troverà poi a pianger lacrime di coccodrillo su una tragedia annunciata, esattamente come successe pochi anni orsono con la strage in Ruanda.
Fonte: italian.ruvr.ru
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