Visualizzazione post con etichetta jp morgan. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta jp morgan. Mostra tutti i post

giovedì 16 giugno 2016

Referendum, Renzi e Jp Morgan ci cedono alle multinazionali



Ridurre i costi della politica e accelerare i tempi di decisione. Sono i due obiettivi agitati da Renzi in vista del referendum sulla “rottamazione” della Costituzione, ma in realtà – ricorda Guglielmo Forges Davanzati – sono la traduzione perfetta dei diktat enunciati nel 2013 da un colosso finanziario come la Jp Morgan, che condanna l’impronta ancora “socialista” della nostra Carta, laddove lascia allo Stato anche funzioni di programmazione economica. Da Renzi, solo propaganda. Tagliare i costi della politica? «Non si capisce per quale ragione non farlo – in modo estremamente più semplice – attraverso l’attuazione delle numerosissime proposte di riduzione degli stipendi e degli emolumenti di chi ci rappresenta». I futuri senatori non saranno più pagati in qualità di membri del Senato? Vero, però «le medesime indennità le percepiranno dalle istituzioni da cui sono espressi». Costi, peraltro, «assolutamente marginali rispetto ai costi che i cittadini italiani (in particolare, i lavoratori dipendenti e le piccole imprese) sostengono per una tassazione che serve solo in misura marginale a pagare il ceto politico».
L’attuale super-tassazione, continua Davanzati in una riflessione su “Micromega”, «serve semmai a generare avanzi di bilancio», prescritti dall’euro-politica Ue (pareggio di bilancio) che, di questo passo, “amazza” lo Stato impedendogli di investire Renzi Jp Morgane, di conseguenza,  stronca l’economia privata, aziende e famiglie. Tuttavia, nel confronto con la media europea, «ci troviamo di fronte al paradosso per il quale siamo maggiormente tassati per pagare più di altri una classe politica che, nella sua espressione governativa, ci somministra dosi di austerità fiscale (riduzioni di spesa combinate con aumenti della pressione fiscale) superiori a quanto accade altrove», scrive Davanzati. Quanto al secondo argomento sventolato da Renzi – la rapidità decisionale («apparentemente inoppugnabile: chi vorrebbe maggiore lentezza delle decisioni?») è quello più rilevante, «giacché attiene ai rapporti fra dimensione economica e sfera delle decisioni politiche». La Costituzione che si intende ridisegnare è «finalizzata a rendere l’economia italiana più attrattiva per gli investitori esteri», in coerenza con la logica della globalizzazione, che però «è in radicale contrasto con la tutela dei diritti, in particolare dei diritti sociali».
Ecco dunque «la base teorica della riforma che si intende attuare: il passaggio, niente affatto neutrale, da un modello costituzionale pensato per la tutela dei diritti sociali, attraverso un incisivo intervento pubblico in economia, a un modello costituzionale pensato in una logica di perseguimento di obiettivi di efficienza economica, da perseguire mediante il minimo intervento pubblico in economia (si pensi, a riguardo, alla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio)». Governabilità ed efficienza? «Non è affatto scontato che una maggiore rapidità dei tempi della decisione politica implichi un aumento dell’efficienza di sistema, obietta Forges Davanzati. «In altri termini, appare discutibile l’idea che, se anche il superamento di una Costituzione basata sulla tutela di diritti sociali si renda necessario per garantire la ‘governabilità’, quest’ultima produca Guglielmo Forges Davanzatibenessere per tutti». Anche perché il decisore politico sarebbe facilmente “catturato” da gruppi di interesse, interessati al proprio business e non al benessere della comunità nazionale.
Attenzione: «Esiste un’ampia letteratura economica che mostra come un fondamentale presupposto per la crescita risieda esattamente nella tutela dei diritti sociali e, a questi connessi, a una più equa distribuzione del reddito». Certo, si tratta di una letteratura «marginalizzata dal pensiero dominante e palesemente non funzionale all’attuale modello di sviluppo, basato semmai su crescenti diseguaglianze distributive e su quella che Luciano Gallino, nei suoi ultimi scritti, definiva la ‘lotta di classe dall’alto’». In questo senso, conclude Davanzati, il referendum di ottobre ha una notevole implicazione economica, visto che «pone in evidenza il fondamentale discrimine fra una visione della carta costituzionale come strumento di tutela delle fasce deboli della popolazione e una visione della stessa come dispositivo finalizzato alla governabilità per l’efficienza, laddove quest’ultima passa attraverso il superamento del modello di democrazia economica delineato nella Costituzione attualmente vigente».

Fonte: libreidee.org

sabato 12 aprile 2014

La riforma del senato di Renzi? ORDINATA DA JP MORGAN!

''LA RIFORMA'' DI RENZI DEL SENATO E' STATA CONSIGLIATA DALLA BANCA AMERICANA JP MORGAN: PAG.12 DEL ''REPORT 28.05 2013''

LA RIFORMA DEL SENATO? "ORDINATA" DA JP MORGAN, IL COLOSSO BANCARIO STATUNITENSE CHE INSIEME A GOLDMAN SACHS E ALTRE POCHE BANCHE D'AFFARI CON UN FATTURATO SUPERIORE A QUELLO DI DIVERSE NAZIONI, E' ALLA BASE DELLA CRISI.

JP MORGAN QUALCHE MESE FA DICHIARO', TRA LE ALTRE COSE, CHE LE "COSTITUZIONI ANTIFASCISTE" SONO UN OSTACOLO DA ELIMINARE...
ECCO IL LINK DEL DOCUMENTO RISERVATO DI JPMORGAN SULLA "RIFORMA" DEL SENATO, DELLA "COSTITUZIONE" E DELLA "DEMOCRAZIA" IN ITALIA: http://culturaliberta.files.wordpress.com/2013/06/jpm-the-euro-area-adjustment-about-halfway-there.pdf

Ora, l'articolo.
Rottamare la democrazia? No, grazie. Anche quella sarebbe una “riforma”, certo. Ma ne faremmo volentieri a meno. Così la pensa Salvatore Settis, già direttore della Normale di Pisa. «La riforma di Renzi – dice – è contraria alle regole più elementari della democrazia». Quindi, innanzitutto, occorre fermare la «svolta autoritaria» del governo, perché il progetto di riforma costituzionale tanto voluto dal premier è «affrettato, disordinato e assolutamente eccessivo».
Tanto per cominciare, «non si può accettare che a incidere così profondamente sulla Carta sia un Parlamento di nominati e non di eletti, con un presidente del Consiglio nominato e non eletto». Questo Parlamento «non può fare una riforma di questa portata, né tantomeno anteporla alla riforma elettorale, che è la vera urgenza». Il guaio è che il male viene da lontano: si tratta di «decisioni prese in stanze segrete», che «non ci sono mai state spiegate», perché sono i diktat del neoliberismo che vorrebbe sbaraccare lo Stato democratico, visto come ostacolo al grande business.
loading...
loading...