Alcuni giorni fa ci siamo "permessi" di osservare un certo sbilanciamento della politica radicale, in fatto di droghe leggere e antiproibizionismo, sul fronte della cannabis terapeutica (clicca qui) chiedendo al movimento che più di ogni altro ha fatto su questo tema, una sorta di ritorno alle origini. Un ritorno alle origini più che mai attuale, alla luce dell'intergruppo voluto da Benedetto Della Vedova (toh, un radicale) che in Parlamento proporrà un testo che mira a legalizzare quanto meno il possesso di droghe leggere anche a scopo ricreativo. Dar forza a questo integruppo con un'azione politica decisa, sarebbe opportuno.
La questione da questo spazio sollevata, poteva anche archiviarsi come lo sfogo di un modestissimo radicale "ignoto" ancorché membro del comitato nazionale, eletto con pochi voti ma spontanei e non di cordata. Eppure, alla luce di una proposta emersa due sere fa nel corso di una riunione – non propriamente pubblica, quindi non ci dilungheremo troppo sui contenuti – a Torre Argentina e rilanciata da alcuni dirigenti radicali sui social network e quindi resa pubblica, riteniamo opportuno tornare sull'argomento radicali e antiproibizionismo sulle droghe per aggiornare il ragionamento.
Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani al quindicesimo giorno di sciopero della fame per amnistia, indulto e questione antiproibizionista alla luce di quanto dichiarato dalla Direzione Nazionale Antimafia, ha proposto a tutte le associazioni locali di coltivare una sola piantina di cannabis, recante il nome di un malato impossibilitato a curarsi, a cui consegnarla al momento opportuno. Una disobbedienza civile sullla cannabis terapeutica che, a partire dall'iniziativa della segretaria che sarà rilanciata a breve, vuole essere dislocata in tutta Italia.
Per chi scrive, da semplice osservatore e "piccolo" dirigente radicale, sarebbe stato molto più sensato che la Bernardini avesse proposto di coltivare sì una piantina, così richiamando anche sentenze favorevoli della Cassazione secondo cui ciò non è condotta penalmente rilevante, però senza il nome di alcun malato. Ovvero, coltivare una piantina per – magari – portarla assieme al ricavato al momento opportuno in un punto della città e in un determinato giorno, nell'ambito di un'iniziativa nonviolenta di cessione gratuita di marijuana, a chiunque ne richiedesse e per qualunque scopo. Qualcosa, meglio ancora, da fare in contemporanea in tutta Italia. Un po'come fatto nei primi anni '90 da Marco Pannella e dai radicali di allora, a Roma, che in questo caso avrebbe l'effetto di una sveglia per l'opinione pubblica ma anche nei confronti di un'informazione che continua a essere fallace in materia. Una proposta simile avrebbe forse convinto più di un'associazione oltre che singoli militanti ad accettare il rischio e la sfida, in nome di quello che per molti radicali è il vero obiettivo, specie ora che se ne parla perfino in Parlamento e seriamente: cannabis legale per tutti e non solo per qualcuno. La reazione a questa proposta è stata fin qui tiepida quando non gelida.
Insistere sulla cannabis terapeutica è battaglia di retroguardia, in quanto questa è ormai acquisita e nessuno più sembra metterla in discussione e fare una disobbedienza civile "passeggiata" non è forse un'idea vincente. Ci si chiede poi la ragione di questo legame a doppio filo dei Radicali solo con una realtà territoriale (Racale, il cui principale esponente, Andrea Trisciuoglio, condivide con Giovanardi il disprezzo per "chi si fa le canne" e con questo si fa anche immortalare) e non anche con altri cannabis social club, come Pisa ad esempio, dove ci si ispira al modello spagnolo (Barcellona) e quindi aperto a tutti. Ma i radicali di oggi hanno appaltato lo "spinello libero" a chiunque, siano essi magistrati, intellettuali, oncologi o esponenti di altri partiti, in nome di questa "benedetta" cannabis terapeutica, per di più battaglia coscioniana, prima ancora che di Radicali Italiani. Tutto questo forse per i "dubbi di Francesco", chissà, sebbene la stessa Rita Bernardini stia digiunando anche per quei tantissimi detenuti ancora in cella per gli effetti di una legge, la Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale e modificata solo dalla Consulta ma non dalla politica. E questi detenuti non sono malati che non riescono a curarsi, ma piccoli spacciatori e semplici consumatori di "non droghe".
Fonte: epressonline.net