Di Boris Johnson, 16 maggio 2016
Alla conferenza del partito Tory dell’anno scorso ho attirato l’attenzione su di una statistica preoccupante sul modo in cui sta cambiando la nostra società . È la proporzione tra lo stipendio medio dei top manager del FTSE100 e quello del suo dipendente medio – ribadisco, medio – in azienda. Questa proporzione sembra in fase di esplosione a un ritmo straordinario, inspiegabile e francamente sospetto.
Platone diceva che nessuno dovrebbe guadagnare più di cinque volte di chiunque altro. Be’, Platone si sarebbe stupito dalla crescita della disuguaglianza aziendale odierna. Nel 1980 la proporzione era 1 a 25. Nel 1998 era salita a 47. Dopo 10 anni di Tony Blair e Peter Mandelson – e del loro atteggiamento “intensamente rilassato” nei confronti degli “schifosamente ricchi” – i massimi dirigenti delle grandi aziende britanniche guadagnavano 120 volte la retribuzione media dei dipendenti di basso livello. Lo scorso anno la proporzione è arrivata a 130.
Quest’anno – stappando una bottiglia di champagne – i pezzi grossi hanno sfondato la barriera magica di 150. Il CEO medio del FTSE100 si porta a casa 150 volte lo stipendio del suo dipendente medio – e in alcuni casi molto di più. Non usiamo mezzi termini: queste persone guadagnano così tanti più soldi degli altri nella stessa società, che volano su jet privati e costruiscono piscine sotterranee, mentre molti dei loro dipendenti non possono nemmeno permettersi di acquistare alcun tipo di casa. C’è un signore là fuori che guadagna 810 volte la media dei suoi dipendenti.
Cosa sta succedendo? È solo avidità, o favori reciproci dei comitati di remunerazione? Non c’è dubbio che ci racconteranno, come sempre, che questi sono “i prezzi di mercato”. Ma ho notato un’altra cosa di questi uomini del FTSE100 (e ho paura che siano quasi sempre uomini): che sono sempre felicissimi di sfilare per Downing Street e dichiarare la loro eterna devozione verso l’UE. Firmano entusiasticamente lettere ai giornali, spiegando come sia fondamentale che restiamo nell’UE. Credono che l’UE faccia bene al loro business.
Ma come, esattamente? Il mercato unico è un microcosmo di bassa crescita. E’ cronicamente affetto da un elevato tasso di disoccupazione. I paesi dell’UE sono gli ultimi della fila in quanto a crescita tra i paesi dell’OCSE; ed è incredibile che ci siano 27 Paesi extracomunitari che hanno goduto di una crescita più veloce delle esportazioni di merci verso l’UE della Gran Bretagna, a partire dall’avvio del mercato unico nel 1992, mentre 20 Paesi hanno fatto meglio di noi nell’esportazione di servizi. Far parte dell’UE non è poi così conveniente per le aziende britanniche.
Perciò che cosa piace dell’UE a questi pezzi grossi? Sostanzialmente due cose. A loro piace l’immigrazione incontrollata, perché aiuta a mantenere bassi i salari dei lavori meno qualificati, e quindi aiuta a controllare i costi, e quindi ad assicurarsi che vi sia ancora più grasso da spartirsi per quelli che comandano. Un rifornimento costante di solerti lavoratori immigrati significa non doversi preoccupare più di tanto delle competenze o delle aspirazioni o della fiducia in sé stessi dei giovani che crescono nel loro Paese. E in quanto clienti di Learjets e frequentatori di salotti esclusivi, essi non sono solitamente esposti alle tipiche pressioni causate dall’immigrazione su larga scala, come quelle sull’intrattenimento, sulla scuola o sugli alloggi.
Ma poi c’è una ragione ancor più sottile – il fatto che l’intero sistema di regole UE è così lontano dai cittadini e opaco che i pezzi grossi possono volgerlo a loro vantaggio, al fine di mantenere le loro posizioni oligarchiche e, tenendo lontana la competizione, spingere la propria busta paga ancora più in alto.
Nel loro ottimo libro “Perché le Nazioni falliscono”, Daron Acemoglu e James A. Robinson spiegano come istituzioni politiche trasparenti siano essenziali per l’innovazione e la crescita economica. Distinguono tra le società “inclusive”, dove le persone si sentono coinvolte nelle loro democrazie ed economie, e società “esclusive”, dove il sistema è sempre più manipolato da una élite per proprio esclusivo vantaggio. L’UE sta cominciando ad assumere alcune caratteristiche delle società “esclusive”. E’ dominata da un gruppo di pochi politici internazionali, lobbisti e affaristi.
Queste persone si conoscono a vicenda. Essendo parti di grandi aziende, possono permettersi di assumere qualcuno per seguire le complesse regole che vengono da Bruxelles. Possono fissare appuntamenti coi responsabili delle Commissioni. Possono perfino incontrarli alle conferenze o agli eventi – il più famoso di questi è Davos. In questo senso, hanno un immenso vantaggio rispetto alla maggioranza delle aziende del Paese.
La maggior parte delle aziende (e in effetti la maggior parte degli inglesi) non hanno alcuna idea di chi lavori per la Commissione, o di come mettersi in contatto con queste persone, e non saprebbero distinguere i loro euro-parlamentari da dei marziani. Solo il 6% delle aziende britanniche in realtà esportano in UE, e ciò nonostante il 100% di esse deve sottostare al 100% delle leggi UE, che si tratti di aziende piccole o grandi – un peso normativo che costa circa 600 milioni di sterline alla settimana.
La scorsa settimana ho visitato la Reid Steel, un’azienda britannica di successo a Christchurch, nel Dorset. Esportano acciaio per costruire ponti in Sudan, alberghi alle Mauritius, hangar di aerei in Mongolia. L’unica cosa che li frena, dicono, sono le regole UE – generate attraverso un incomprensibile processo che coinvolge i lobbisti di grosso calibro, le grosse multinazionali e i governi di paesi stranieri. Non vedono l’ora di uscire dall’UE, e hanno ragione. Pensano che le altre nazioni UE stringerebbero rapidamente nuovi trattati commerciali. E che le aziende britanniche, liberate dalle catene europee, finirebbero per esportare in Europa di più anziché meno di quanto facciano ora.
Naturalmente, i pezzi grossi del FTSE100 firmeranno per poter rimanere in UE: a livello personale stanno diventando sempre più ricchi – sfruttando manodopera immigrata per le loro aziende e manipolando le regole UE a vantaggio dei grandi attori, gli unici a poterle comprendere – mentre i meno fortunati hanno invece visto una diminuzione in termini reali delle loro retribuzioni. Questa è una delle ragioni per le quali la UE ha una bassa innovazione, bassa produttività e bassa crescita. Se volete sostenere gli imprenditori, i faticatori, gli innovatori, i lavoratori, le imprese dinamiche e fiorenti dell’Inghilterra – allora votate per uscire dalla UE il 23 giugno, e date a questi parassiti il calcio nel sedere che si meritano.
Tratto da: http://vocidallestero.it/2016/05/18/lue-uno-strumento-dei-forti-per-sfruttare-i-deboli/
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