"Non è un pm della Dda". E con questa motivazione il pubblico ministero di Palermo Antonino Di Matteo non potrà più fare nuove indagini sulla trattativa tra Stato e mafia. Così come Roberto Tartaglia, che insieme a Di Matteo fa parte del pool del processo trattativa con Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, coordinatore del gruppo e l'unico magistrato che sopravviverà all'azzeramento del pool. E' la drammatica conseguenza di una circolare arrivata dal Consiglio superiore della magistratura lo scorso 5 marzo. Il Csm ha dichiarato che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia dovranno essere affidati solo ed esclusivamente a chi fa parte della Direzione distrettuale antimafia. E non è il caso di Di Matteo, in quanto il suo incarico è scaduto formalmente da quattro anni e in via ufficiale assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi, mentre Tartaglia non fa ancora parte della Dda. L'unico che, alla luce delle nuove direttive del Csm, rientrerebbe ora di diritto nel nuovo filone di indagini sulla trattativa è Del Bene, ma solo fino al primo giugno, giorno della scadenza per il suo incarico.
Il Consiglio superiore della magistratura ha ordinato che potrà essere fatto uno strappo alla regola solo in casi eccezionali: "nei delitti contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente", oppure nel caso in cui tutti i magistrati appartenenti alla Dda abbiano un carico di lavoro tale da impedire loro di occuparsi di altre indagini.
Anche se ufficialmente non è noto su quali indagini il procuratore di Palermo Messineo abbia posto il veto, ma è altrettanto risaputo che da quando è iniziato il processo in Corte d'assise il pool è andato avanti con le indagini ma ora sarebbe tutto messo in discussione.
Uno stop perentorio, dunque, al nuovo filone investigativo, quello sulla trattativa bis, che aveva individuato molti altri nomi rispetto a quelli che già figurano nel processo trattativa Stato-mafia (ex politici e ufficiali del Ros, boss mafiosi e pentiti). Già la scorsa estate i pm di Palermo insieme alla Dia si sono recati alle sedi dei servizi segreti a Roma per acquisire una mole immensa di documenti. Di recente hanno poi proseguito negli interrogatori di diversi uomini appartenenti alle istituzioni come testimoni, oltre a cercare di chiarire il mistero della Falange Armata, la sigla che in passato ha rivendicato numerosi omicidi e da poco è tornata a farsi sentire. Sì, perchè una lettera di minacce è pervenuta in carcere al boss Totò Riina: "Chiudi la bocca, ci pensiamo noi". Noi chi?
Resta il fatto che la mossa del Csm (al quale qualcuno sta già pensando di scrivere) ha decretato l'eliminazione di un pool che non ha eguali per competenza, le cui indagini hanno iniziato a delineare nuovi misteri che devono essere portati alla luce, legati a personaggi appartenenti ad ambienti di potere ben più alti di quelli che sono stati finora toccati dalle precedenti attività investigative.
Ma ad essere a rischio sono anche altre indagini antimafia che vedevano applicati diversi pm della procura ordinaria. Ed il caso è pronto ad esplodere.
Fonte: antimafiaduemila.com