
Francesco De Dominicis per “Libero Quotidiano”
La lista dei «se» è lunga, ma la conclusione del ragionamento è più o meno questa. Se con il bazooka attivato da Mario Draghi la Bce dovesse mancare l’obiettivo della spinta all’inflazione (e quindi della ripresa dell’economia), i contribuenti italiani potrebbero essere chiamati alla cassa per staccare un assegno che complessivamente vale oltre 50 miliardi di euro. Dietro la garanzia «nazionale» imposta dalla Germania alla Banca centrale europea per attivare l’acquisto di titoli di Stato con l’attesissimo quantitative easing potrebbero esserci, a loro insaputa, i «privati».
A questa conclusione arrivano alcuni analisti bancari, convinti che l’unica alternativa per le banche centrali locali per «prestare garanzia» sia rivalersi, in ultima istanza, sulle casse pubbliche. Nel caso del nostro Paese, quindi, Banca d’Italia verrebbe in qualche modo «coperta» dal Tesoro che, nell’ipotesi di flop dell’operazione, non avrebbe alternative a una dolorosissima manovra finanziaria. A carico dei cittadini.
Sembrerebbe infatti da escludere – ma il condizionale è d’obbligo – che Bankitalia possa impegnare le sue riserve auree. L’oro di via Nazionale, in effetti, dovrebbe essere vincolato sia dalle leggi italiane sia dalle norme del sistema europeo delle banche centrali, di cui l’istituto guidato dal governatore Ignazio Visco è parte integrante. Ma fra gli addetti ai lavori l’opzione «oro» non viene scartata del tutto. L’altra ipotesi porta alle tasse, con un salasso fiscale che potrebbe arrivare fino a 55 miliardi. Cifra che corrisponde al 50% del teorico importo destinato dalla Bce all’Italia.