BUCO DI 100 MILIARDI DI EURO NEI CONTI INPS PER COLPA DELLE PENSIONI DEI LAVORATORI PUBBLICI: INPS VICINA AL FALLIMENTO
Emerge un dato molto allarmante: l'Inps per colpa delle pensioni Enpals e Inpdap ha un buco nei conti da cento miliardi di euro. Ammonta a oltre 11 miliardi l'anno la perdita di bilancio che l'Inps registra regolarmente dal 2012 (anno in cui ha incorporato l'Enpals e Inpdap), e che stima di registrare anche al termine del 2016. Il patrimonio netto dell'Inps, che cinque anni fa misurava oltre 40 miliardi di euro, è ormai diretto verso la completa erosione e con esso anche i 21 miliardi di euro incassati tramite un intervento straordinario di ripianamento delle perdite risalente a due anni fa. E' quanto emerge da una analisi del Centro studi ImpresaLavoro.
A fine anno i conti dell'Istituto potrebbero essere ancora peggiori, innanzitutto perché per gli esercizi 2015 e 2016 il disavanzo è ancora una previsione, e in passato i consuntivi hanno fatto registrare delle perdite ben più ampie di quelle inizialmente preventivate. Anche se i dati per una volta risultassero in linea con le attese, il patrimonio netto fotografato al 31 dicembre 2016 non andrebbe oltre gli 1,8 miliardi, con la sostanziale imminente necessità di un ulteriore ripiano da parte dello Stato.
In particolare, c'è un costo che l'INPS ha finora sempre regolarmente sottostimato nei suoi bilanci preventivi: quello derivante dalla svalutazione dei crediti, ovvero di quella parte dei contributi che l'ente previdenziale si attende inizialmente di riscuotere ma che nei fatti viene persa. Il fenomeno -si legge nello studio- è dovuto a cause diverse: a parte gli evasori, si va dal caso di debitori falliti o liquidati oppure deceduti senza eredi che ne abbiano accettato l'eredità a quello di crediti caduti in prescrizione o per i quali ne viene accertata l'insussistenza.
Per dare un'idea delle dimensioni del problema, la massa dei contributi non incassati dovrebbe superare a fine anno per la prima volta la quota dei 100 miliardi, crescendo nel frattempo al ritmo medio di 740 milioni di euro al mese (una tendenza ormai consolidata). Il loro ammontare esatto supererebbe quindi i 104 miliardi, di cui oltre la metà (56,3) sottoposti a svalutazione.
Sono cifre catastrofiche, se questo trend non viene bloccato, a breve l'Inps dichiarerà fallimento, altro che "conti in equilibrio". Per la parte pubblica, cioè rispetto gli impiegati pubblici andati in pensione per i quali lo Stato italiano non ha mai accantonato i contributi pensionistici, l'Inps è in bancarotta.
Uno degli aspetti più delicati, rileva ImpersaLavoro, è proprio la stima di quanti crediti verranno effettivamente incassati e su quanti invece l'Inps dovrà inevitabilmente gettare la spugna. Ad oggi le svalutazioni previste o effettuate si basano essenzialmente su due parametri ben definiti: il primo è l'anno di riferimento del credito (più lontano è nel tempo e minore è la probabilità di recuperarlo); il secondo è la gestione specifica a cui si riferisce (per alcune gestioni il recupero è più difficile che in altre).
ImpresaLavoro ha scoperto che proprio negli ultimi bilanci questi criteri sono stati rivisti al ribasso. Quelli risalenti fino al 2009, indipendentemente dalla gestione cui si riferiscono (42,8 miliardi secondo gli ultimi dati disponibili), vengono svalutati al 99%, riconoscendone quindi la sostanziale irrecuperabilità salvo episodi del tutto sporadici e quindi si tartta di una vera e propria voragine finanziaria nei conti dell'Inps. Per il triennio successivo la svalutazione è del 55% per le gestioni dei lavoratori dipendenti e gli agricoli, mentre è del 30% per gli artigiani e i commercianti e si limita al 10% per la gestione separata. Sui crediti relativi all'ultimo triennio è proposta una svalutazione media del 10%.
La gravità delle stime è in aumento sia per i parametri utilizzati (ben più pessimistici rispetto all'ultimo consuntivo), sia per il fatto che materialmente il recupero crediti non sembra sinora riuscito a sostenerle: di anno in anno il volume di contributi non incassati cresce e nel contempo cresce pure la quota che l'Inps deve accantonare al rispettivo fondo di svalutazione.
ImpresaLavoro osserva infatti che le gestioni che mostrano le più basse probabilità di recupero sono quelle più rilevanti: 56,7 miliardi di crediti non incassati (il 54,3% del totale) si riferiscono alle gestioni dei lavoratori dipendenti (incluso le prestazioni temporanee) mentre in minoranza troviamo quelle dei commercianti (20,7%) e artigiani (15,3%). Solo per il 2,3% dei mancati incassi (e con anzianità dei crediti piuttosto bassa) pesa la gestione separata di parasubordinati e autonomi.
Il quadro messo in luce da ImpresaLavoro è agghiacciante.
Fonte: ilnord.it