Di Claudio Vigolo
Colpa della discontinuità contributiva dovuta ai lavori precari. L'ultima uscita del presidente dell'Inps, Tito Boeri, che si muove come un ministro ombra.
Si muove quasi come fosse un ministro ombra, il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Martedì 19 aprile, parlando all’università Cattolica di Milano, ha ribadito l’avvertimento lanciato lo scorso dicembre: la generazione nata negli anni ‘80 rischia di dover lavorare fino a 75 anni e prendere un assegno del 25% più bassorispetto ai pensionati di oggi. Questo perché dalle analisi dell’istituto è emerso che ognuno degli attuali trentenni in media ha “una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni”. Di conseguenza dovranno aspettare di più per aver diritto alla pensione; invece che a 70 anni potrebbero poterci andare anche a 75.
“Non voglio terrorizzare ma solo rendere consapevoli dell’importanza della continuità contributiva”, ha detto Boeri, invitando i giovani a “non lasciarsi illudereda situazioni con un salario netto più alto ma in cui il datore di lavoro versa pochi contributi previdenziali”.
57 anni, laureato e docente alla Bocconi, consulente di Fondo Monetario Internazionale, Ocse e Banca Mondiale, è stato anche editorialista prima per La Stampa e poi per La Repubblica. Tito Boeri da quando è presidente del colosso che gestisce le pensioni degli italiani non si rifugia certo nel grigiore dell’anonimato, con proposte alle quali il Governo Renzi è spesso corso a mettere la sordina.
Come quando nell’autunno scorso se ne uscì con una corposa e articolata proposta di riforma delle pensioni che spiazzò il mondo politico. Mai nessun presidente dell’Inps aveva mai preso un’iniziativa così decisa e autonoma dalle richieste dei partiti. Il ministero del Lavoro diramò una nota in cui definì la proposta un “contributo utile” ma decise di rinviarla.
Boeri proponeva, tra le altre cose, di imporre un contributo alle pensioni più ricche, in particolare quelle superiori ai contributi versati durante la vita lavorativa. Proposta stoppata da Matteo Renzi, che spiegava in proposito a Bruno Vespa: “Non mi è sembrato il momento: dobbiamo dare fiducia agli italiani. Se metti le mani sulle pensioni di gente che prende 2.000 euro al mese, non è una manovra che dà serenità e fiducia. Per carità, magari è pure giusto a livello teorico. Ma la linea di questa legge è la fiducia […]. E, dunque, non si tagliano le pensioni”.
Uno degli ultimi episodi di frizione tra la gestione Boeri dell’Inps e il mondo politico è legato all’invio delle “buste arancioni”, ossia le simulazioni sulla possibile pensione di ciascun lavoratore, che l’istituto sta inviando a casa in queste settimane (a breve dovrebbero partire le prime 150mila). Boeri a questo proposito ha detto: “c’è stata paura nella classe politica, paura che dare queste informazioni la possa penalizzare”.
Claudio Vigolo