«Moltissime persone, in Europa, si sono rese conto improvvisamente di quanto il Trattato di Maastricht potrebbe interessare direttamente le loro vite e quanto poco ne conoscano i contenuti. La loro legittima ansia ha spinto Jacques Delors a fare una dichiarazione secondo la quale il punto di vista della gente comune, in futuro, dovrebbe essere consultato. Avrebbe potuto pensarci prima». Parole che sembrano scritte oggi. E che, invece, hanno richiesto vent’anni per essere diffusamente comprese. «L’idea centrale del Trattato di Maastricht – scrive Godley in un intervento ripreso dal sito “MeMmt” – è che i paesi della Ce dovrebbero muoversi verso l’unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca centrale indipendente. Ma qual è il resto della politica economica da approntare? Poiché il trattato non propone alcuna nuova istituzione eccetto quella di una banca europea, chi sponsorizza tale trattato probabilmente crede che non occorra fare di più». La storia dell’economia che si auto-regola? Non s’è mai visto al mondo. Eppure: pare che proprio questo surreale “punto di vista” abbia effettivamente determinato la modalità con la quale è stato inquadrato il Trattato di Maastricht, prima causa dell’attuale catastrofe economica.
E’ la “vulgata” neoliberista, secondo la quale i governi dovrebbero “lasciar fare al mercato”, senza neppure tentare di fare il loro mestiere, e cioè raggiungere i tradizionali obiettivi di sviluppo di una politica economica, verso la piena occupazione. Tutto quello che si può legittimamente fare, secondo la tragica Europa di Maastricht, è «controllare l’offerta della moneta e il pareggio del bilancio». E per giungere a questa desolante conclusione – la Bce come unica istituzione deputata all’integrazione europea – c’è voluto «un gruppo in gran parte composto da banchieri: il Comitato Delors». Un’Europa sbagliata da cima a fondo, progettata – nella migliore delle ipotesi – da fanatici dementi ed economisti incapaci (nella peggiore: da veri e propri golpisti, ben decisi ad annientare il potere contrattuale di interi popoli, rendendoli schiavi dell’oligarchia finanziaria). Godley cita il connazionale Tim Congdon: «Il potere di emettere la propria moneta, attraverso la propria banca centrale, è ciò che principalmente definisce l’indipendenza di una nazione». Viceversa: «Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o colonia».
Stati retrocessi al rango di province, o addirittura di semplici colonie: certo non rischiano di subire una svalutazione, «ma non hanno, allo stesso tempo, il potere di finanziare il proprio disavanzo attraverso la creazione di denaro». Comuni e colonie «devono rispettare la regolamentazione imposta da un organo centrale per ottenere altri metodi di finanziamento e non possono cambiare i tassi di interesse». Risultato: totale dipendenza dall’altrui potere, visto che i membri dell’Eurozona hanno completamente perduto qualsiasi sovranità, non disponendo più di nessuno strumento di politica macroeconomica. Ovvero: fin dove è possibile finanziare “buchi”’ Fin dove spingere la tassazione? E così per tutto: tassi di interesse, crescita, livelli di disoccupazione. E poi l’inflazione, strumento-chiave col quale John Maynard Keynes propose di finanziare la guerra contro i nazisti.
«La sovranità – dice Godley – non dovrebbe essere ceduta per la nobile causa dell’integrazione europea, ma per affermare che, se tutte le funzioni precedentemente descritte sono estranee ai singoli governi, queste funzioni devono semplicemente essere assunte da qualche altra autorità». L’incredibile lacuna nel programma di Maastricht, aggiunge l’economista britannico, è che contiene un progetto per l’istituzione e il modus operandi di una banca centrale indipendente, ma non fa il minimo cenno alla necessità di un vero governo centrale europeo, autenticamente democratico e federale. Gli Stati che hanno perso le loro tradizionali prerogative nazionali di governo non trovano il loro equivalente a Bruxelles. Semplicemente, la funzione democratica del governo in Europa è scomparsa. «La contropartita per la rinuncia alla sovranità dovrebbe essere che le nazioni componenti dell’Ue si costituiscano in una federazione a cui è affidata la loro sovranità».
Già nel ’92, Godley vedeva la «grave recessione» in arrivo, e avvertiva: «Le responsabilità politiche di questa situazione stanno diventando evidenti». Mani legate, fin da allora, a causa del disastroso assetto comunitario che frena gli investimenti pubblici condannando alla crisi anche il sistema privato: «L’interdipendenza delle economie europee è già così grande che nessun singolo paese, con l’eccezione della Germania, si sente in grado di perseguire politiche espansive per proprio conto, perché ogni paese che cercasse di espandersi dovrà presto confrontarsi con i vincoli di un bilancio dei pagamenti». Servirebbe un «rilancio economico coordinato», ma «non esistono né le istituzioni, né un quadro di pensiero concordato che porterebbe a questo risultato». E attenzione: «Se la depressione davvero volgesse al peggio – ad esempio, se il tasso di disoccupazione tornasse al 20-25% degli anni Trenta – gli Stati membri dell’Ue prima o poi eserciteranno il loro diritto sovrano di dichiarare il periodo di transizione verso un’integrazione, un disastro, e ricorreranno allo scambio reciproco di protezione e controlli – una economia di assedio».
In una vera unione economica e monetaria, dove il potere di agire in modo indipendente degli Stati membri è effettivamente abolito, l’unica contromisura risolutiva – espansione economica grazie al rilancio della spesa pubblica – potrebbe essere intrapresa solo da un governo federale europeo: «Senza tale governo, l’unione monetaria impedirebbe un’azione efficace da parte dei singoli paesi e non cercherebbe assolutamente di mettere a posto le cose». Previsioni confermate alla lettera, vent’anni dopo, fino alle estreme conseguenze: l’assenza di un governo democratico centrale, aggiunge Godley, espone le regioni più fragili al peso di improvvise crisi. Solo un regime di solidarietà fiscale, nel quadro di un governo federale europeo, potrebbe fermare il declino di vaste aree, garantendo le necessarie protezioni economiche e sociali. «In extremis, una regione che produrrebbe nulla non morirebbe di fame perché sarebbe titolare di pensioni, indennità di disoccupazione e il reddito dei dipendenti pubblici».
Cosa succede se un intero paese subisce una grave battuta d’arresto strutturale? «Finché è uno Stato sovrano, potrebbe svalutare la propria moneta: potrebbe quindi comunque implementare con successo politiche di piena occupazione se i cittadini accettassero il taglio necessario ai loro redditi reali». Con una unione economica e monetaria, invece, «questa strada sarebbe ovviamente sbarrata, e questa prospettiva sarebbe gravissima a meno che ci fosse la possibilità di adottare disposizioni federali di bilancio che abbiano una funzione redistributiva». Così parlava il “profeta” Godley nel 1992: «Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di coloro che mirano a una unione economica e monetaria senza la creazione di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale), e che alzano con orrore le mani quando le parole “federale” o “federalismo” vengono pronunciate».
Fonte: libreidee.org