Per Pippo Civati o l’ex ministro Fabrizio Barca, il Pd è riformabile e può acquisire accenti socialdemocratici, è in grado di promuovere una politica di welfare e diritti – con un nuovo New Deal, per dirla con Luciano Gallino – e nello stesso momento riformare il paese senza cadere nella trappola dell’austerity. E’ ancora un’alternativa almeno teorica al Cavaliere? Se lo domandano due libri: “Chi ha suicidato il Pd”, del giornalista de “L’Espresso” Alessandro Gilioli, e “Democrat”, di Massimiliano Amato. In vista del congresso, scrive Russo Spena su “Micromega”, sono due letture che «ricostruiscono l’agonia di questo partito tafazziano che, dalla nascita nel 2007 ad oggi, è riuscito a inanellare molte sconfitte e pochissime vittorie». Tra gli “imputati” del fallimento, Gilioli mette Bersani, Veltroni, D’Alema, Finocchiaro, Lusi e Fioroni, domandandosi se “un altro Pd è possibile” o se, al contrario, «la spirale autodistruttiva è destinata a non finire mai».
La postfazione è dello stesso Civati, impegnato in una battaglia quasi solitaria (con Laura Puppato, Lorenza Ricchiuti e Walter Tocci) per far virare a sinistra il partito, sganciandolo dall’inciucio con Berlusconi e dall’ossessivo inseguimento ai “moderati”. L’incipit di “Chi ha suicidato il Pd” è tutto per Bersani, l’uomo che alle scorse elezioni «è riuscito a sbagliare un rigore a porta vuota». Berlusconi impegnato in una campagna tutta contro l’Europa e le tasse, Grillo assediato nelle piazze dal popolo del cambiamento, e Bersani intrappolato «in un incredibile tira e molla con Monti: continuità o discontinuità col governo dei tecnici?». Nella coalizione “Bene Comune”, «una mediazione perenne tra i Fioroni e i Vendola», spiccava una “Carta d’intenti” nella quale «si registravano due-tre supercazzole degne del miglior Tognazzi, come l’accettazione del Fiscal Compact europeo e l’eventuale alleanza coi centristi dopo il voto. Né carne né pesce: il Pd diviso su tutto, come al solito».
Bersani è riuscito nell’impresa di non vincere, e il suo capolavoro è culminato con l’elezione per il Quirinale: il sostegno al giurista Rodotà, voluto da Grillo, avrebbe forse aperto ad un eventuale esecutivo politico capace di parlare al paese, invece il Pd ha riesumato prima Marini e poi l’inciucio con Berlusconi. Stoppato l’ex sindacalista Cisl dall’opposizione dei renziani e della sinistra del partito, è giunta l’ora di Prodi, in missione per l’Onu in Mali. «Il solito Salvatore: il Professore al Colle e nessun dialogo con il Cavaliere». Nonostante la convergenza di Sel, 101 deputati del Pd hanno fatto fuori anche il fondatore del partito. Per Massimiliano Amato è il “parricidio” per eccellenza: la fine di un’epoca. Finale scontato: l’inciucio richiesto dal rieletto Napolitano. «In nome della governabilità si ingoia ora qualsiasi rospo, anche che Ruby sia l’effettiva nipote di Mubarak». Così, il governo Letta che avrebbe dovuto esordire cambiando la legge elettorale ha deciso di rinviare tutte le misure economiche, tenendosi per ora anche il Porcellum. In compenso, però, ora si punta a “rottamare” la Costituzione.
Prima di Bersani – sentenzia Gilioli – come non ricordare le responsabilità di Massimo D’Alema e la sua attitudine a dialogare con chi è alla sua destra (in primis la Bicamerale che resuscitò Berlusconi) o Walter Veltroni, l’uomo del “ma anche”: «L’equivoco Pd nasce con lui, il grande contenitore dove dovrebbero stare insieme liberisti e socialisti, grande finanza e Occupy, i fan di Marchionne e gli operai della Fiom, ambientalisti e sviluppisti». Quando, come diceva Anna Politkovskaja, «non è tempo di idee tiepide». L’autore di “Democrat”, Amato, la pensa in maniera simile. Sancisce nel 19 aprile 2013 (la congiura contro Prodi) il decesso del Pd, ma considera il partito forse mai nato. «Quanto è avvenuto in quelle trenta ore tra il primo e il quarto scrutinio per il Quirinale è qualcosa di largamente annunciato, e chiama purtroppo in causa l’estrema labilità del patto fondativo. La guerra tra bande, l’assenza di coesione e solidarietà sono frutto dell’eterna e irrisolta competizione interna tra storie e tradizioni diverse e visioni divergenti, che con somma presunzione mista ad un pizzico di cinismo si è pensato potessero convincere ed amalgamarsi».
E ora che fare? Amato consiglia al partito di riscoprire i valori della sinistra, del lavoro. Per questo guarda con interesse alle future mosse di Barca. Ma non per il governo. Lì, per salvare il partito e finalmente vincere, vorrebbe in maniera strumentale e tattica il sindaco di Firenze, Renzi, cioè «l’uomo che più sta minando alle fondamenta il governo Letta perché bramoso di nuove elezioni e di chiudere la fase degli apparati», osserva Russo Spena. Renzi al governo e Barca segretario? «Di certo c’è solo un governissimo sostenuto da Berlusconi insieme a Monti e Pd». Dallo “smacchiamo” all’alleanza: un incubo, il peggiore. E senza neppure una parola sulle cause europee dell’inaudita catastrofe nella quale il paese sta precipitando. Silenzio assoluto sui diktat che devastano lo Stato, l’economia, le aziende e le famiglie. Imposizioni-capestro sul cui rispetto vigila l’incredibile Napolitano, che proprio il Pd ha voluto a tutti i costi rieleggere al Quirinale.
(I libri: Alessandro Gilioli, “Chi ha suicidato il Pd”, Imprimatur editore, 123 pagine, 9 euro; Massimiliano Amato, “Democrat”, CentoAutori, 173 pagine, 15 euro).
Fonte: libreidee.org