Di Matteo Vitiello
La nostra macchia mediterranea è diventata ormai una macchia nera. I giacimenti di petrolio stanno distruggendo uno dei territori più ricchi di risorse dell’Italia, la nostra Basilicata.
Dimenticata dal resto del Belpaese, la bella Lucania sta gridando la propria rabbia e cercando di farsi sentire dal resto degli italiani, per far conoscere a tutti la verità, la realtà dei fatti, i dati e le ragioni della propria lotta contro gli sceicchi nostrani, petrolieri senza scrupoli che cercano di mascherare i danni che stanno provocando con buone parole e patrocinando eventi sportivi e culturali.
La Val d’Agri, terra un tempo ricchissima di biodiversità, produttrice di rinomati oli e vini, oggi produce solo cicloottano, monossido di carbonio, ossidi di azoto e anidride solforosa. I cittadini dei comuni di Sant’Andrea, Corleto Perticara, Gallicchio, Grumento Nova, Guardia Perticara, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Missanello,Moliterno, Montemurro, Paterno, Roccanova, San Chirico Raparo, San Martino d’Agri, Sant’Arcangelo, Sarconi, Spinoso, Tramutola, Viggiano e praticamente tutto il resto della Basilicata, devono fare i conti con l’avvelenamento dell’aria e delle falde acquifere, provocato dall’attività d’estrazione del petrolio (date un’occhiata alle pubblicazioni del “Laboratorio per Viggiano” – ViggianoLab).
Grazie alla ricchezza dei suoi giacimenti, ben l’82% del petrolio italiano viene estratto dalle terre potentine (il 96% tra le terre ed il mare di Basilicata e Sicilia – dati del Ministero Sviluppo Economico, ndr). La Val d’Agri è il più grande giacimento di petrolio dell’Europa continentale, la Basilicata è al 4º posto fra i paesi europei produttori di petrolio ed al 49º come produttore mondiale pari allo 0,1% del totale della produzione mondiale.
Ma chi sono i colpevoli? Vi lascio in lettura un po’ di dati (fonte: Ministero dello Sviluppo Economico; Legambiente – Dossier “Petrolio in Val d’Agri”):
Le attività di estrazione avviate in Basilicata dalle società petrolifere hanno sviluppato 2 grossi programmi di ricerca e sfruttamento denominati TREND 1 (Val d’Agri) e TREND 2 (Gorgoglione).Il cuore del problema è il come si sta estraendo tutto questo petrolio. Le modalità d’estrazione sono portate avanti in maniera del tutto sconsiderata da parte delle imprese italiane ed europee che operano in Basilicata. Il profitto è l’unica cosa che importa agli sceicchi europei, che non condividono il principio umano secondo il quale la salvaguardia del territorio e dei suoi abitanti deve precedere gli interessi economici dell’oro nero.
Le concessioni di coltivazione per l’estrazione di petrolio in Basilicata sono 3 e si estendono su un territorio totale di 1013,29 kmq: Gorgoglione (Total, 75% – Shell Italia E&P, 25%), Serra pizzuta (ENI) e Val d’Agri, che costituisce quella principale. Il titolo si estende su una superfice territoriale di oltre 60mila ettari con operatore principale ENI (61% e il restante 39% di proprietà di Shell Italia E&P) e si proietta su riserve stimate in 500 milioni di B.o.e. (barili olio equivalenti).
Nel giacimento Val d’Agri dell’Eni (con una partecipazione minoritaria di Shell) la produzione attuale è di circa 85mila barili/giorno ma le previsioni sono di arrivare a circa 130mila con il nuovo Piano di sviluppo in corso di negoziazione. Si aggiungeranno poi i 50mila barili/giorno che saranno prodotti dalla Total (anch’essa con Shell socio di minoranza) nel giacimento di Tempa Rossa a partire dal 2015. In tutto, quindi, circa 180mila barili di petrolio al giorno.
Nel 2011 in Basilicata la produzione di petrolio è stata di 3,74 milioni di tonnellate circa il 71% del totale nazionale. Nel primo semestre 2012 la produzione regionale di idrocarburi si è attestata su poco più di 2 milioni di tonnellate di petrolio. I pozzi di estrazione idrocarburi attivi in Basilicata sono in tutto 126 di cui 43 in provincia di Potenza e 83 in provincia di Matera. In Val d’Agri ci sono 37 pozzi per l’estrazione di petrolio, di cui 24 in produzione, e 1 pozzo, quello di Costa Molina 002, destinato a reiniezione fluidi. Sono inoltre pronti per partire i lavori per la quinta linea del Centro Olio della Val d’Agri che dureranno dai 20 ai 24 mesi, con un investimento di 250 milioni di euro.
Le istanze di permesso di ricerca presenti in Basilicata sono 17 e interessano un territorio complessivo di 2833 kmq. Di queste 11 si trovano in corso di decreto di VIA per un totale di 1663.68 kmq, 3 sono in fase decisoria per un totale di 825,17 kmq, 2 sono ancora alla prima fase di istruttoria per un totale di 344 kmq. Tra le compagnie interessate le più presenti sono Eni con 6 istanze per un totale di 755,5 kmq, Shell Italia 4 istanze per un totale di 459,83 mentre Total ha 1 sola istanza, Tempa la Pertosa, ma con un estensione di 412,11 kmq.
(Per un’analisi esaustica trovate tutti i dati pubblicati tutti a fondo articolo nel .pdf del dossier di Legambiente, ndr).
E lo Stato cosa dice? Purtroppo, chi dovrebbe difendere i cittadini, Stato e Regione assieme alle Istituzioni ambientali e sanitarie, sta dalla parte dei petrolieri. Il giro d’affari è tanto grande che i petrolieri sono praticamente intoccabili. Mentre la gente della bella Basilicata si ammala e muore ed i parchi naturali diventano discariche di greggio, le aziende petrolifere (vedi nomi nell’allegato dossier di Legambiente, ndr) fanno i propri comodi, difendendosi dalle accuse con ipocrite dichiarazioni avallate da studi ed analisi preparate ad hoc, secondo dubbi principi d’oggettività, da alcune istituzioni
Quella del petrolio lucano è una storia tutta italiana, come la spazzatura della Campania, esempi a cielo aperto del modus operandi dei mercenari italiani, che stanno distruggendo la nostra terra. Li chiamo mercenari perché sono persone senza scrupoli, che si fanno chiamare italiani ma non sono altro che figli di nessuno, che svendono l’Italia e minacciano le nostre vite, agendo con una completa irresponsabilità ed un’innato menefreghismo nei confronti del rispetto del prossimo, la salvaguardia della salute ed il benestare della collettività.
Ma chi li lascia fare quello che vogliono? Se da un lato ci sono i mercenari, dall’altro c’è il ruolo dello Stato italiano, degli Enti e delle Istituzioni.
In ambito di trivellazioni, l’Italia è l’unico Paese al mondo che non fa pagare quasi niente alle aziende petrolifere per l’attività d’estrazione.
Innanzitutto una precisazione: se non lo sapeste, il petrolio è un bene pubblico e spetterebbe a tutti noi cittadini italiani il diritto di decidere se permettere alle aziende petrolifere di trivellare o meno. Però, visto che nessuno c’interpella e considerato che lo Stato ci rappresenta sempre meno, è doveroso fare luce sulle azioni intraprese dalla lobby petrolifera italiana, sempre attenta a stare all’ombra dei riflettori e soprattutto sempre innocente quando la si accusa.
L’Italia è una meta ambita da tutti i mercenari europei del petrolio, perché per trivellare in Italia non si deve pagare quasi nessuna royalties. Cosa sono le royalties? Le compagnie petrolifere che estraggono idrocarburi in Italia devono versare allo Stato il valore di una quota percentuale del greggio o gas estratto, la royalty. Dal 2010 per le estrazioni in terraferma è applicata un’aliquota royalty del 10% sulle quantità di petrolio e gas estratti mentre per le estrazioni in mare le royalties si differenziano dal 2012 in due aliquote: 10% sulla quantità di gas naturale estratto e 7% sul petrolio. A far sfregare le mani ad Eni e compagnia, ecco poi due decreti che fanno fare la bella vita agli sceicchi in Italia:
“L’aliquota non è dovuta per le produzioni disperse, bruciate, impiegate nelle operazioni di cantiere o nelle operazioni di campo oppure reimmesse in giacimento. Nessuna aliquota è dovuta per le produzioni ottenute durante prove di produzione effettuate in regime di permesso di ricerca”. (DLgs n° 625 del 25.11.1996 all’art. 19, comma 2).
“Per ciascuna concessione sono esenti dal pagamento dell’aliquota, al netto delle produzioni di cui al comma 2, i primi 20 milioni di Smc di gas e 20.000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, e i primi 50 milioni di Smc di gas e 50.000 tonnellate di olio prodotti annualmente in mare.” (DLgs n° 625 del 25.11.1996 all’art. 19, comma 3).
Insomma, il gioco è fatto, basta dichiarare una produzione che rientri nei limiti stabiliti per legge per non dover pagare neanche un euro di royalties. Leggete l’interessante presentazione del geometra Benedetti del Comitato Dnt, che ho pubblicato a fondo articolo.
Cosa dice Eni a riguardo? Nega le accuse e non rilascia interviste, solo dichiarazioni che difendono la propria strategia di produttori di petrolio a livello mondiale e bla bla bla e bla bla bla…
Nel 2011 la Regione Basilicata firmò con lo Stato un Memorandum in cui si illudevano i cittadini lucani che le aziende petrolifere ed il Centro Oli avrebbero generato lavoro e benessere per la Regione. Oggi, dopo due anni, l’occupazione in Basilicata è scesa vertiginosamente ed i giovani, uno dopo l’altro stanno abbandonando la basilicata, terra ormai nera ed avvelenata. L’unica dato che è aumentato è il numero di persone intossicate, il numero di capi di bestiame morti ed il numero di ulivi e vigneti avvelenati.
“Le forze produttive, sindacali e politiche della Basilicata si sono illuse che l’approvazione del Memorandum 2011 sul petrolio potesse assicurare ricchezza ed occupazione in cambio del raddoppio delle estrazioni in Val d’Agri e a Tempa rossa in Val Camastra. Invece le risorse ammontanop solo a cinquanta milioni da distribuire alle nuove imprese residenti in Basilicata che operano nella ricerca ed estrazione di idrocarburi su tutto il territorio regionale. È certamente una beffa per chi crede che, mettendo a disposizione delle compagnie petrolifere la parte più bella della Regione, si possano ricevere in cambio finanziamenti da investire in infrastrutture e lavoro. La firma dei Ministri dell’Industria Zanonato e dell’Economia Saccomanni al Memorandum sul petrolio, non assicura né miliardi né occupazione ai tanti giovani attualmente disoccupati”. (WWF Basilicata, Ottobre 2013).
Vi lascio con la visione del bellissimo reportage “Nero d’Italia“, un documentario denuncia diretto ed autoprodotto magistralmente dalla giovane giornalista e videomaker Valeria Castellano. Con la speranza che lo possano vedere quante più persone possibile (sarà diffcilissimo vederlo in televisione, vista la paura dei colleghi giornalisti e la completa sottomissione alle lobby petrolifera italiana dei responsabili dei mezzi di comunicazione italiani, ndr), potete scaricare il video da questa pagina, dove potete anche, se preferite, acquistare il dvd: Nero d’Italia – un documentario sul petrolio (Valeria Castellano).
Un abbraccio a tutti gli abitanti della Basilicata.
Matteo Vitiello