di Daniele Martini - laretenonperdona.it
Come mucche da mungere, gli automobilisti pagano al casello anche per un servizio di sorveglianza dell’Anas sulle autostrade che non esiste più. Non si tratta di una cifra irrisoria: in totale sono quasi 20 milioni di euro che, pedaggio dopo pedaggio, escono dalle tasche dei cittadini e finiscono nelle casse dell’azienda pubblica delle strade. Che poi a fine anno si pavoneggia vantando un utile (anche se modestissimo, 3 milioni nel 2013) che senza quel balzello non ci sarebbe proprio. Utile che viene girato nelle casse statali essendo l’Anas posseduta interamente dal ministero dell’Economia.
LA FACCENDA ha una sua logica, anche se perversa: il presidente dell’Anas, Pietro Ciucci, può dire nelle interviste ai giornali che la sua azienda non pesa sulle tasche degli italiani, anzi porta il suo volenteroso contributo, pur minuscolo, al miglioramento del bilancio pubblico. Il governo fa finta di essere contento perché almeno non deve sopportare le perdite di una controllata statale. Ma a rimetterci sono gli automobilisti che, all’oscuro di tutto, sono costretti a sovvenzionare questo teatrino sopportando il compito ingrato degli ufficiali pagatori. L’Anas un tempo lo svolgeva sul serio il servizio di sorveglianza sulle concessioni autostradali e quindi aveva un senso che le società concessionarie, da Autostrade dei Benetton a Toto, pagassero una quota del loro fatturato per il mantenimento di quell’uffi – cio. Veniva applicato, insomma, lo stesso schema che vale, per esempio, con l’Autorità per il controllo del mercato, l’Antitrust, che in parte si sovvenziona proprio con i quattrini ricevuti dalle aziende controllate.
PROVENENDO i ricavi delle concessionarie quasi integralmente dai pedaggi, era ovvio che fossero gli automobilisti alla fine dei conti a pagare per la sorveglianza autostradale Anas. Che allo scopo aveva allestito un prestigioso ufficio distaccato, fuori dalla sede centrale di via Monzambano a Roma, in un palazzo affittato dalla Cisl con affaccio sui pini marittimi e i prati di Villa Borghese. Ora, però, l’Anas quel servizio non lo svolge più, l’uf – ficio è stato trasferito in capo al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, arredi, dipendenti e dirigenti compresi. Come se niente fosse, però, l’azienda delle strade continua a incassare. La giustificazione ufficiale è che quei soldi servono comunque per pagare il personale Anas che svolge il lavoro di sorveglianza sulle strade statali normali. Senza saperlo, con il pedaggio gli automobilisti pagano ob – torto collo all’Anas anche per un altro servizio che sulla carta esiste, ma sulla cui effettiva attività è lecito avere dei dubbi: il servizio per la manutenzione delle strade che si immettono nelle autostrade. La norma stabilisce che l’Anas incassa una seconda quota dei pedaggi “quale corrispettivo forfettario per le sue prestazioni volte ad assicurare l’ad – duzione del traffico alle tratte autostradali in concessione, attraverso la manutenzione ordinaria e straordinaria, l’adeguamento e il miglioramento delle strade e autostrade non a pedaggio in gestione alla stessa Anas Spa”. Ma basta pensare a ciò che è successo all’inizio dell’estate sul Grande raccordo anulare di Roma completamente bloccato per la pioggia e la pessima manutenzione, per rendersi conto che l’Anas incassa, ma poi il servizio che in cambio offre è quel che è.
L’ANAS riscuote al casello 6 millesimi di euro al chilometro per ogni auto e 18 per i veicoli commerciali. Non è poco. Su un percorso di circa 200 chilometri, per esempio Roma-Napoli, si tratta di 1,20 euro di balzello per un’auto e 3,6 euro per un veicolo commerciale. Questo sovrapprezzo incide per circa il 14 per cento sul totale dei pedaggi pagati dagli automobilisti su tutte le autostrade in concessione d’Italia. Complessivamente si tratta di una cifra notevole, tra i 600 e i 700 milioni di euro l’anno (a cui vanno aggiunti i 20 del servizio sicurezza), la maggiore fonte di finanziamento dell’Anas. Senza di essa il deficit dell’azienda delle strade sarebbe spaventoso.
di Daniele Martini
Fonte: laretenonperdona.it