Affarismo generalizzato, sistemico. «Irrazionale è anche pensare che
la magistratura di un cosiffatto paese possa risanare il sistema»,
scrive Della Luna nel suo blog. Il potere
giudiziario può colpire singoli imbrogli, non il sistema. Prima di
Tangentopoli, la giustizia non interveniva. «Si è mossa solo nel ’92 a
seguito del Britannia Party, quando si trattò di arrivare ad altri
scopi, soprattutto coprire operazioni di svendita del paese», la
super-privatizzazione per la quale fu cooptato Mario Draghi. Dal
“sistema”, inoltre, non sono esenti spezzoni della magistratura: dopo lo
scandalo Mose, lo stesso Cacciari ha rivelato di aver a suo tempo
«presentato un dossier su questo scandalo in una pubblica seduta della
Corte dei Conti, senza raccogliere interesse». E un giudice di questa
stesa Corte «ha denunciato di aver redatto un rapporto sulle mangerie
del Mose già nel 2009, ma di essere stato semi-silenziato da un
superiore». Piove sul bagnato: «Gli uomini della casta si riciclano
sempre tra di loro, e smettono solo se muoiono». I “Compagni G” sono
inarrestabili, «non li fermi con l’interdizione dalle attività
pubbliche, ma solo rinchiudendoli a vita», perché «agiscono sott’acqua e
non hanno bisogno di assumere cariche pubbliche».Finché vivranno questi uomini, circa 400.000 secondo il libro “La Casta” di Aldo Rizzo e Gian Antonio Stella e almeno un milione secondo altri, «l’Italia continuerà a declinare e non inizierà alcun risanamento». Mose, in fondo, fa rima con Vajont e con Tav: opere inutili, pericolose, inquinate. Idem per lo stillicidio dell’aumento indiscriminato della cementificazione, motivato con la riduzione delle piogge: le precipitazioni sono sì calate su base annua, ma si sono concentrate in periodi rischiosi, moltiplicando le alluvioni. Ma il cemento, si sa, fa comodo al “sistema”. Per non parlare del problema numero uno, la finanza pubblica “privatizzata” dai signori dell’euro. Perché non indagare penalmente anche lì, continua Della Luna, dal momento che l’Italia continua a non avvalersi dell’articolo 123 del Trattato di Maastricht che consente agli Stati di finanziarsi presso la Bce attraverso una banca pubblica? In quel modo, il nostro paese «pagherebbe interessi dello 0,25 o 0,15 % anziché del 5% sul debito pubblico, risparmiando 80 miliardi l’anno». Meglio invece «prelevare 57 miliardi con le tasse dagli italiani già colpiti dalla recessione solo per darle ai banchieri predoni francesi e tedeschi onde assicurare i loro profitti nei prestiti fraudolentemente da loro concessi a Grecia, Spagna e Portogallo».
E ancora: «Perché non indagare i cancellieri europei che hanno
premuto in tal senso, forse ricattando e limitando nella loro libertà le
nostre istituzioni, appoggiati dai banchieri e dalle società di rating?
Perché non aprire un fascicolo sull’imposizione all’Italia dell’euro,
che si sapeva, tecnicamente, che avrebbe causato ciò che ha poi causato?
Lo si era già visto con lo Sme, molti economisti di vaglia l’avevano
predetto e gli effetti del blocco dei cambi erano descritti nei libri di
testo». Già, perché non indagare? Il solo divorzio tra Stato e Banca
d’Italia, nel 1981, ha raddoppiato in pochi mesi il rapporto tra debito pubblico e Pil, cessando la funzione di Bankitalia come “bancomat” del governo a costo zero, per favorire l’interesse speculativo della finanza privata. «La politica
italiana degli ultimi decenni è piena di simili scelte distruttive per
il paese e lucrative per determinati soggetti finanziari, in termini sia
di denaro che di potere».
Dunque, «perché non indagare se costituiscano crimini contro gli
interessi nazionali? Alto tradimento? Attentato alla sovranità e
indipendenza nazionali mediante violenza economico-finanziaria sulla
popolazione e sull’economia
del paese?». E cosa si scoprirebbe, «rovistando nei circuiti di
compensazione bancaria semi-segreti» come Clearstream, Euroclear e
Swift? Magari che «i nostri politici, ministri, altri statisti, oltre a
prendere soldi dalle grandi imprese per i grandi appalti,
hanno preso soldi o altre utilità da finanzieri o statisti stranieri
per fare quelle operazioni disastrose per l’Italia».
Forse, continua Della Luna, «agli italiani non interessa nulla di ciò
che riguarda la sfera della legalità e della moralità, e accettano che i
loro governanti siano sleali e traditori». Un nome a caso, Matteo
Renzi: «Oggi riscuote successo e consenso un personaggio che ha
pugnalato alle spalle il suo compagno di partito, allora premier,
dicendoli di stare tranquillo, che non gli avrebbe tolto Palazzo Chigi.
Un personaggio che ha violato la promessa fatta pochi giorni prima alla
nazione, dicendo che non avrebbe accettato il premierato se non passando
per le urne». Davvero ottime credenziali, per un moralizzatore: in
qualsiasi altro paese, la sua carriera politica
sarebbe finita. In Italia, invece, quei vizi capitali diventano virtù.
Lo sanno bene «i poteri che lo hanno scelto», spianandogli la strada con
tutta la potenza dei media mainstream. Sapevano che
gli italiani ci sarebbero cascati, magari con l’aiutino degli 80 euro –
carota per gonzi, immediatamente compensata con più tasse e meno
servizi.Chi se ne importa se Renzi «non ha una strategia macroeconomica per rimediare», pazienza se «la disoccupazione, la domanda interna, gli investimenti, il debito pubblico continuano a peggiorare». Tutto ciò che il governo fa è «autofinanziarsi prendendo i soldi del risparmio degli italiani per ridistribuirli senza creare nuove fonti di reddito al paese». L’apparato del partito pigliatutto ha una storia analoga a quella degli altri partiti di potere: il Pd «non ha chiarito come i suoi uomini hanno gestito o lasciato gestire il Monte dei Paschi di Siena, saccheggiando di oltre 10 miliardi». Tutto ciò «non impedisce al novello statista di dichiarare, con la massima e più virginale serietà di espressione, che se fosse per lui condannerebbe per alto tradimento tutti i pubblici funzionari e amministratori che si lascino corrompere. Davvero il personaggio giusto, per ridare la moralità alla Repubblica!». In Italia, chi fa davvero sul serio resta isolato. Come il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, titolare dell’indagine sul Mose: quando nel 1997 scrisse il saggio “Giustizia” che metteva alla berlina il sistema Tangentopoli, permettendosi anche «alcune benevole e mitigatissime critiche alle lobbies dei suoi colleghi e ai parteggiamenti filocomunisti di certuni», secondo Della Luna l’Anm «attaccò il dottor Nordio con toni e contenuti molto preoccupanti, esagerati e sorprendentemente minacciosi per un paese in cui vige libertà di espressione». Avanti Renzi, dunque. Show must go on.
Fonte: libreidee.org
