Regionali, 12 candidati indagati per spese pazze. Pm: “Sentiremo prima loro”
Gli avvisi di fine indagine per l'inchiesta sui rimborsi in Emilia-Romagna è arrivata a pochi giorni dalle urne. E alcuni dei consiglieri uscenti coinvolti sono impegnati in campagna elettorale. La procura: "Se richiesto potremo interrogare prima loro"
Tutti in fila davanti al magistrato tra un comizio e l’altro. È questo il destino di 12 consiglieri regionali della scorsa legislatura, ricandidati per lo stesso ruolo alle elezioni del prossimo 23 novembre, e finiti nella lista degli indagati nella maxi-inchiesta sui rimborsi. Secondo il codice di procedura penale, hanno infatti diritto di farsi ascoltare o presentare memorie entro 20 giorni dal ricevimento degli avvisi di fine indagine, prima che poi i pm chiedano l’archiviazione o il rinvio a giudizio. I magistrati bolognesi in questo caso hanno aperto un’ulteriore corsia più rapida per chi, fra meno di due settimane, dovrà presentarsi al giudizio degli elettori: “Per ragioni di trasparenza e di correttezza istituzionale, se richiesti verranno svolti prima gli interrogatori dei consiglieri candidati, in base alla data di pervenimento della stessa, e successivamente degli altri”, ha spiegato il procuratore aggiunto Valter Giovannini, delegato ai rapporti con la stampa e coordinatore dell’indagine seguita dalle due pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari.
Nell’inchiesta per peculato sui rimborsi dell’assemblea legislativa, sono 12 i consiglieri indagati che si ripresenteranno in lista. Cinque nelle file di Forza Italia: Enrico Aimi, Luca Bartolini, Galeazzo Bignami, Marco Lombardi e Andrea Pollastri. Due nel Partito democratico, Antonio Mumolo e l’assessore regionale uscente alle attività produttive, Luciano Vecchi. Il Centro per Bonaccini presenta Sandro Mandini e Matteo Riva, entrambi sotto indagine. Per Fratelli d’Italia c’è Mauro Malaguti, per Emilia Romagna Civica c’è la verde Gabriella Meo, mentre per e Ncd-Udc c’è Silvia Noé.
Per loro la procura della Repubblica ripropone lo schema utilizzato già a settembre quando gli allora due candidati per le primarie del Pd, Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, scoprirono, facendo richiesta negli sportelli giudiziari, di essere indagati per peculato. Entrambi, nonostante Richetti si fosse nel frattempo ritirato dalla corsa per le primarie, chiesero e ottennero di essere subito sentiti dai magistrati. Per loro le accuse riguardavano poche migliaia di euro, soprattutto in cene e rimborsi chilometrici. Dopo l’audizione, per Bonaccini la procura aveva chiesto una archiviazione delle indagini su di lui al Gip, che ora dovrà decidere. Richetti invece risulta ancora nella lista dei 41 indagati che hanno ricevuto l’avviso di fine indagine lunedì 10 novembre. Ora, allo stesso modo, per i 12 candidati che vorranno farsi sentire dai pm, potranno aprirsi due strade: una archiviazione oppure una richiesta di rinvio a giudizio.
Tra i 50 consiglieri regionali uscenti ricandidati peraltro, ci sono anche dei non indagati nell’inchiesta sulle spese dei gruppi. Quattro sono del Pd: la presidente uscente dell’Assemblea, Palma Costi, le consigliere Roberta Mori e Luciana Ferri, e Giuseppe Paruolo. Il quinto è Franco Grillini, consigliere regionale LibDem e capolista a Bologna per Emilia-Romagna Civica. Intanto, fa ancora discutere la vicenda dello scontrino per un acquisto in un sexy shop. Alla Guardia di Finanza infatti risulta che la spesa sia tra quelle della consigliera del gruppo Pd in consiglio regionale, Rita Moriconi: “Negli atti c’è effettivamente una voce che non mi risulta, che non conosco e che non so cosa sia. Una voce abbastanza confusa”, ha spiegato a margine di una seduta dell’assemblea. Quanto alla possibilità che l’acquisto sia stato fatto da suoi collaboratori in Regione, Moriconi ha spiegato: “Io non escludo più niente”.
Fonte Il Fatto Quotidiano