sabato 9 aprile 2016

Usa. La violenza sessuale sulle donne native che non trova giustizia

Nella riserva dei nativi sioux yankton Lake Andes, nel Sud Dakota, le donne hanno una probabilità due volte e mezza maggiore delle donne bianche di essere violentate. E non da membri della propria comunità.
Nel Sud Dakota la situazione è insostenibile: 9 donne delle riserve su 10 hanno subito violenza sessuale da parte di estranei. E non riescono a ottenere giustizia nel labirinto giuridico statunitense
La direttrice del Centro di Risorse per la Educazione alla salute delle Donne native statunitensi, Charon Asetoyer, si è sentita dire da una giovane donna sioux: “Che cosa dirò a mia figlia quando sarà violentata?” Non “se”, ma “quando”. È la prima cosa che salta agli occhi anche a Charon Asetoyer, anch’essa nativa di una tribù comanche, incontrata dall’inglese «Guardian»: “Siamo coscienti della gravità del problema che pesa sulla nostra comunità, ma quando te lo pongono in questi termini ti rendi conto che è anche peggio di quanto pensavi”.
Le donne native hanno 2,5 volte di possibilità in più di ciascuna etnia presente negli Stati Uniti di essere violentata, più o meno una su tre ha subito molestie e violenze sessuali, e ogni giorno Charon Asetoyer parla con chi è passata attraverso questa terribile esperienza.

Con i suoi collaboratori ha deciso allora di pubblicare un semplice abecedario scaricabile gratuitamente dalla rete o fruibile in cartaceo, What To Do When You’re Raped: An ABC Handbook for Native Girls (Che cosa fare quando sei stata violentata. Un manuale per ragazze native).
Procede di lettera in lettera con considerazioni, valutazioni, consigli, incoraggiamenti. Alla lettera C spiega: “Attualmente (currently) 9 ragazze native su 10 sono state obbligate a intrattenere relazioni sessuali contro la loro volontà, e questo rappresenta sempre una violenza, anche se perpetuata nell’ambito di un appuntamento, di un incontro”. Alla F: “Non è mai colpa (fault) tua. Non sei tu ad averlo voluto. Non sei sola”.
Stando ai dati del ministero statunitense di Giustizia, almeno nell’86% dei casi di violenza sessuale o molestie, le donne dichiarano di essere state aggredite da uomini non appartenenti alla propria comunità, non nativi. “Ci sono i camionisti, che vanno e vengono, i braccianti e i contadini, i rancheros che raggiungono le aree urbane per i fine settimana – dice Asetoyer. – Ma ci sono anche i campi delle piattaforme petrolifere del Dakota del Nord, in cui prolificano ruffiani che fanno da intermediari tra personale e ragazze del luogo”.
Oltretutto, stando a una relazione del 2007 di Amnesty International, le donne che procedono a una denuncia cadono vittime di un complesso labirinto giuridico fatto di autorità tribali, statali e federali diversamente competenti. Un conto è infatti che la vittima appartenga o no a una tribù riconosciuta al livello federale – spiega lo studio; che l’accusato, a sua volta appartenga o no a una tribù riconosciuta al livello federale; che l’abuso sia avvenuto o no nel territorio tribale.
“Le risposte a questi tre interrogativi non sempre sono evidenti e a volte passa molto tempo, prima che polizia, avvocati e tribunali chiariscano di chi sia la giurisdizione del caso. Il risultato può essere tanto confuso e incerto che alla fine nessuno interviene, e la donna che ha subito violenza sessuale si vede negato il diritto di accesso alla giustizia” scrive Amnesty.
Nel 2013 vi è stato un aggiornamento della Legge sulla violenza contro le donne, grazie al quale per la prima volta è stata data facoltà alle tribù di condurre le necessarie indagini e perseguire penalmente i nativi nei casi di violenza domestica. Pur tuttavia, le tribù continuano a non avere giurisdizione sui non nativi che commettono violenza sessuale, il che ha portato a dire i leader delle tribù riuniti in febbraio in una assemblea plenaria che “i delinquenti non nativi continuano ad avere l’impressione di poter fare ciò che vogliono, dal momento che non c’è modo di processarli”. Glen Gobin, vicepresidente della tribù tulalip sostiene che “adesso la tribù può processare delinquenti non nativi, ma soltanto per certi reati. Non può proteggere le vittime di violenza sessuale condotte da estranei alla tribù e così pure non riesce a proteggere i suoi figli o gli altri membri della sua famiglia”.
Charon Asetoyer e l’attivista cherokee Pamela Kingfisher hanno presentato il loro libro alla conferenza Take Root, svoltasi in febbraio in Oklahoma. L’accoglienza è stata entusiastica oltre ogni previsione. “Tutte le donne native che hanno preso il libro hanno raccontato poi la propria storia di violenza sessuale – dice Pamela Kingfisher. – La cosa triste è che stiamo insegnando le basi per reagire alla violenza sessuale, ma chi insegna agli uomini? Chi pensa a cambiare la cultura di violenza che vige in questo paese?

Fonte: omissisnews.com



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