Quando si pensa che il Pd abbia toccato il fondo, ci si sbaglia
sempre: dopo la “carica dei 101” che hanno impallinato Prodi nella corsa
al Quirinale ecco il governo-inciucio con Berlusconi,
l’ex giaguaro da smacchiare, nonché la sospensione dei lavori alle
Camere, la votazione pro-F35, il no all’ineleggibilità del Caimano e il
salvataggio del ministro Alfano sul caso kazako. Quante volte si è
suicidato, il Pd? Eppure è ancora lì, con un suo uomo – Enrico Letta – a
capo del governo imposto da Napolitano per rassicurare la Germania e
gli altri poteri forti, europei e atlantici. Ormai, dice Giacomo Russo
Spena, tira aria di balcanizzazione e guerra tra le correnti. Mentre gli
“Occupy Pd” lanciano su Twitter l’hashtag #Mobbasta, molti elettori si
sentono giustamente traditi: avevano sostenuto il Pd turandosi il naso,
in nome del “voto utile” contro il Cavaliere, e ora l’odiato “nemico” se
lo ritrovano al governo. Pd e Pdl «a braccetto, come due novelli
sposini».

Per Pippo Civati o l’ex ministro Fabrizio Barca, il Pd è riformabile e
può acquisire accenti socialdemocratici, è in grado di promuovere una politica di welfare e diritti
– con un nuovo New Deal, per dirla con Luciano Gallino – e nello stesso
momento riformare il paese senza cadere nella trappola dell’austerity.
E’ ancora un’alternativa almeno teorica al Cavaliere? Se lo domandano
due libri: “Chi ha suicidato il Pd”, del giornalista de “L’Espresso”
Alessandro Gilioli, e “Democrat”, di Massimiliano Amato. In vista del
congresso, scrive Russo Spena su “
Micromega”,
sono due letture che «ricostruiscono l’agonia di questo partito
tafazziano che, dalla nascita nel 2007 ad oggi, è riuscito a inanellare
molte sconfitte e pochissime vittorie». Tra gli “imputati” del
fallimento, Gilioli mette Bersani, Veltroni, D’Alema, Finocchiaro, Lusi e
Fioroni, domandandosi se “un altro Pd è possibile” o se, al contrario,
«la spirale autodistruttiva è destinata a non finire mai».