L'ANALISI DI LUCA CAMPOLONGO / IN 15 ANNI L'EUROPA SI E' RIDOTTA A ROTTAME ARRUGGINITO, CHI VUOLE ANCORA L'EURO E' PAZZO
2015 Odissea nell’eurozona. Non si tratta di un sequel del capolavoro di Kubrick, ma di quello che aspetta i cittadini “baciati dalla fortuna” di usare l’euro come moneta di scambio.
Cinque delle sette nazioni con il maggior tasso di disoccupazione del vecchio continente aderiscono alla moneta unica, e questo è già sintomatico di quanto questo progetto sia fallimentare. Se a questo sommiamo che l’intera eurozona è in deflazione, il quadro si fa quanto mai desolante.
Il calo dei prezzi, difatti, è l’ultima arma rimasta alle aziende per cercare di vendere i propri prodotti a clienti ormai impoveriti e sfiduciati. Questo significa, però, anche taglio della produzione e blocco degli investimenti (a cosa serve produrre se non ho nessuno che compra?) e quindi aumento della disoccupazione. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che con la nuova flessibilità sul mercato del lavoro, le aziende potrebbero assumere nuovi lavoratori, magari a stipendi più bassi. Il punto rimane quello: se la gente non compra, le aziende non assumono, anche se lo stipendio fosse un decimo di quello attuale.
Deflazione significa anche perdita di valore per gli investimenti, soprattutto quelli in immobili, compiuti dalle famiglie, le quali si trovano con un appartamento che vale, oggi, circa un 10% in meno di quanto valesse prima della crisi ed un mutuo, al contrario, che è più caro, anche se a tasso fisso. Non ci credete? Facciamo questo esempio: inflazione 2%, interesse sul mutuo 3%= costo effettivo 1%; inflazione -1%, interesse sul mutuo 3%= costo effettivo 4%. Quindi, oltre ad essere più poveri, la maggior parte degli italiani e di coloro che hanno acquistato beni finanziandosi, si trovano a sostenere costi maggiori.
Tutto questo, naturalmente, è frutto di quelle politiche imposte dalla Germania a tutto il continente in nome di competitività, flessibilità, austerità. Politiche che avrebbero dovuto far assaggiare “la durezza del vivere” ai cittadini, come disse con sadico cinismo il defunto Padoa Schioppa. Obiettivo raggiunto in pieno, peccato che l’euro fosse stato propagandato come la panacea di tutti i mali: “lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come avessimo lavorato un giorno in più” affermava il giulivo politico bolognese, mentre sul Financial Times affermava esattamente il contrario.
Considerate il quadro sufficientemente desolante? Mi duole dirvi che le notizie cattive non sono finite: per metà anno è atteso da diversi analisti un aumento del tasso d’interesse da parte della FED, il che porterà gli investimenti negli USA più redditizi che in Europa, con una più che plausibile fuga di capitali dalla moneta unica e la sua svalutazione, che andrebbe a sommarsi a quella generata dal QE. Che bello, finalmente ripartirebbero le esportazioni.
Vero, con l’unica avvertenza che le esportazioni italiane verso gli Usa sono un decimo di quelle intra europee e soprattutto la Germania alzerebbe le barricate per preservare il valore della moneta unica.
A quel punto la BCE dovrebbe alzare il tasso di sconto, facendo crescere gli interessi sui titoli pubblici proprio mentre… le banche centrali dei singoli stati li devono garantire! Come far aumentare le pressioni sulla sostenibilità del debito sovrano proprio nel momento in cui si dovrebbe farle scendere.
In una parola: la tempesta perfetta. La colpa, in questo caso, non sarebbe dei “cattivi” americani, ma degli europei che sono arrivati lunghi nei tempi.
In un contesto del genere, l’uscita della Grecia dall’euro appare come una tempesta in un bicchiere d’acqua. Per la cronaca, chi ha brindato al presunto accordo della scorsa settimana, si è già scontrato con i mal di pancia della BCE, con le dichiarazioni di Varoufakis circa i problemi di pagamento delle scadenze a breve e con l’immancabile “nein” tedesco, oltre che con le dichiarazioni di Tsipras che ha fatto chiaramente intendere di aver voluto guadagnare tempo per portare avanti la sua strategia, che in questo momento fa rima con la nuova banca internazionale creata dai BRICS e finanziata con 100 miliardi di dollari dalla Russia di Putin.
Non ci stancheremo di ripetere che l’unica strada percorribile per uscire da questo inferno sarebbe quella di uno smantellamento programmato della moneta unica, in grado di ridare sovranità politica e monetaria alle singole nazioni e far ripartire quella crescita economica e di benessere che ha sempre contraddistinto il vecchio continente dalla fine del secondo conflitto mondiale alla sventurata adozione della moneta unica.
Soluzione troppo sensata per essere applicata da una classe politica che ha portato, con il suo operato, un intero continente dentro l’inferno della deflazione e della povertà.
Luca Campolongo
Fonte: Il Nord