DI MICHELE IMPERIO
Le grandi elite finanziarie anglo americane ci stanno portando lentamente alla terza guerra mondiale pur di coltivare il loro folle progetto di dominare totalmente il mondo nonostante i 18.000 miliardi di dollari di debito degli Stati Uniti e nonostante la loro ormai acclarata inferiorità economica rispetto alle altre due grandi potenze del pianeta la Russia e la Cina contro le quali hanno intrapreso una guerra commerciale assurda.
Esse pensano a un nuovo ordine mondiale o a una Nato economica che comporterebbe la nascita di un unico governo mondiale per ora della parte occidentale del pianeta ogni regione della quale dovrebbe finanche sacrificare i suoi interessi e accettare il ruolo di colonia pur di conservare alle elite anglo americane il primato economico e militare nel mondo. E questa costruzione di questo nuovo ordine mondiale ormai non sta soltanto nelle pagine di Internet ma comincia ad avanzare anche nella vita reale di tutti i giorni e a essere avvertita anche dalla nostra epidermide.
Il 12 marzo 2013, quindi non più tardi di due anni, fa la Commissione europea capeggiata da Barroso, ha deciso di chiedere luce verde agli Stati membri per condurre in porto alcune trattative con gli USA. Dal sito dell’Unione Europea, si viene a sapere che un Consiglio economico transatlantico, incaricato di porre le condizioni di un vero partenariato fra Unione Europea e Stati Uniti era già stato convocato nel 2007, ma poi fu rinviato per lo scoppio della bolla speculativa del 2008. La “NATO economica” o il nuovo ordine mondiale è la prospettiva di un’unione commerciale e finanziaria tra Unione Europea e Stati Uniti e si configura – secondo i suoi detrattori – come una annessione coloniale dell’Europa ai dettami commerciali e finanziari degli Stati Uniti e dei suoi alleati Gran Bretagna e Israele e come un tentativo di escludere dal mercato europeo e da quello nordafricano e mediorientale ogni entità politica o estranea al continente europeo (Russia e Cina) o non perfettamente allineata con le direttive politiche anglo-americane.
Anche il destino dell’euro nell’ambito di questa costruzione è soggetto a tre spinte : c’è chi vorrebbe risolvere l’ormai irreversibile crisi dell’euro con un ritorno alle valute nazionali, marco compreso, c’è chi vorrebbe il consolidamento della situazione attuale (conferma dell’euro ma sganciato dal dollaro statunitense) e c’è infine chi propugna un’adozione del dollaro come moneta unica del mondo occidentale. Quando il governo tedesco impartì a una tipografia svizzera l’ ordine di stampare i nuovi marchi tedeschi e dispose il deposito sempre in Svizzera di 1.500 tonnellate d’oro fu perché il ministro delle finanze tedesco Schobel voleva portare la Germania fuori dall’euro proprio per non fare annettere il marco-euro dal dollaro in un momento in cui – evidentemente – prevaleva questa tesi
Tutta la pressione che viene esercitata contro il leader russo Vladimir Putin è generata dal fatto che il leader russo Vladimir Putin non intende uniformarsi all’ordine chiaramente impostogli dalla grandi elite finanziarie anglo-americane di abbandonare il mercato europeo della fornitura del gas, per lasciare campo libero a Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, i primi due che dovrebbero commercializzare il gas dopo averlo liquefatto e quindi immagazzinato in grandi rigassificatori da realizzarsi su tutta la costa dell’Atlantico e la Gran Bretagna che dovrebbe commercializzare il gas dell’Azerbaijan attraverso il progetto TAP assorbendo ogni altra fonte di gas che si trova sul percorso, quindi anche quello greco.
La storia del conflitti sul gas non ci pare sia stata mai raccontata per intero e vorremo brevemente qui di seguito cimentarci.
Quando ancora non erano stati scoperti ufficialmente gli immensi giacimenti di gas greci e israeliani che si trovano depositati sotto i fondali del mar Mediterraneo orientatale del mare Egeo e del Mar Jonio, nell’anno di grazia 2007 la Commissione europea capeggiata da Barroso aveva concordato con lo Stato dell’Azerbaijan la realizzazione di un grande gasdotto che avrebbe dovuto portare gas dall’Arzebaijan all’Europa in alternativa a quello di Gazprom, che sarebbe dovuto essere soppresso.
Questa operazione aveva due finalità: da un lato favorire una delle tre nazioni dell’asse anglofono la Gran Bretagna il cui ente petrolifero BP che aveva fatto grandi investimenti in Azerbaijan, dall’altro lato cominciare a ridurre l’approvvigionamento del gas da parte di Gazprom, che aveva stabilito in Europa nell’erogazione del gas una sorta di monopolio. Ma in realtà ne aveva pure un terzo non detto: escludere completamente la Russia da un mercato transeuroatlantico del gas che doveva registrare in Europa solo la presenza di imprese americane, canadesi e inglesi.
Ma in controtendenza rispetto a questo progetto nello stesso anno di grazia 2007 e precisamente il 23 giugno 2007 Eni e Gazprom firmano un memorandum d’intesa per la realizzazione di un altro grande gasdotto oltre quelli minori che Gazprom già gestisce in Ucraina (il cui rapporto va in scadenza nel 2019) e in Bielorussia. Questo grande gasdotto si chiamerà South Stream e dovrà portare gas da una cittadina russa sul Mar Nero fino in Italia e fino all’Europa centrale. L’operazione evidentemente era contrastata in quanto assentita solo da Francia Italia e Germania ma non da Gran Bretagna e Stati Uniti perché prevedeva che il 30% di tutti gli appalti per la realizzazione del gasdotto sarebbe andato ad aziende francesi e tedesche e il 20% ad aziende italiane.
Senonchè nell’aprile 2010 si verifica il grave disastro ecologico nel Golfo del Messico per via della fuoriuscita nel mare del Messico in località Macondo di circa 800.000 barili di petrolio corrispondenti a 127 milioni di litri per un danno calcolato in 32 miliardi di dollari. Questo grave incidente stava portando la B.P. inglese a fallire.
Questo default però sarebbe stato più sciagurato di quello di Lehman Brothers in quanto avrebbe avuto forti riflessi negativi sul sistema bancario americano. Allora il presidente degli Stati Uniti Barack Obama concordò con il Primo ministro britannico David Cameron la necessità di ripulire il Golfo del Messico, senza per questo mettere la BP con le spalle al muro. Occorreva però rastrellare 32 miliardi di dollari necessari a coprire i costi parziali della fuoriuscita di Macondo e a sanare 17 miliardi di perdite finanziarie.
Il primo passaggio di BP fu la cessione di alcune azioni della società. Poi BP cedette anche una parte dei suoi diritti nelle attività estrattive in Texas, Canada ed Egitto per 7 miliardi di dollari. Infine il dimissionario amministratore delegato Tony Hayward sondò diversi governi stranieri alla ricerca di un fondo sovrano che fosse disposto a investire nella compagnia e selezionò come migliore disponibilità quella offerta dall’Azerbaigian, paese che praticamente è seduto su un mare di gas e di petrolio e nel quale BP già aveva investito svariati miliardi di euro tra l’acquisto di giacimenti di gas, giacimenti di petrolio, trasporti e infrastrutture varie. Lo State Oil Fund of Azerbaijan (Sofaz) diventò quindi un grande azionista di BP. Contemporaneamente si pensò di allargare lo spazio di attività del gasdotto dell’Arzebaijan in Europa e di comprimere quello concorrente di South Stream fino a sopprimerlo, anche perché serpeggiava la preoccupazione in una parte del governo americano e segnatamente nel sottosegretario di Stato Hillary Clinton, che i proventi della vendita del gas acquisiti dalla Russia si trasformavano poi in investimenti in armamenti militari con grave danno per la sicurezza degli Stati Uniti. E cominciò allora tutta una lotta per avversare e sabotare il progetto South Stream fino a quando il governo degli Stati Uniti non invitò formalmente il governo bulgaro a denegare il passaggio delle condutture gasifere russe sul proprio territorio, per cui del progetto qualche anno dopo non se ne potette fare più nulla. Il contratto con l’Ucraina in scadenza nel 2019 non sarebbe stato rinnovato perché l’Ucraina nel frattempo era diventata una nazione ostile per la Russia, per cui la Russia è costretta ad andare alla ricerca di un’alternativa che bypassasse la Bulgaria per realizzare un nuovo grande gasdotto in proprio.
Nello stesso anno del grave incidente nel Mare del Messico cioè nel 2010 (ottobre) venne ufficializzata la scoperta di altri gradi giacimenti gasiferi e petroliferi situati nel mare Egeo e nel mar Ionio intorno alla Grecia e nel mar Mediterraneo Orientale di fronte a Israele e in minor misura anche di fronte alla striscia di Gaza, alla Siria al Libano e alla Turchia.
Questa scoperta avrebbe dovuto modificare tutti i precedenti progetti perché a questo punto le nazioni interessate a far transitare i gasdotti nel territorio della Grecia per arrivare in Italia attraverso l’Adriatico sarebbero stati almeno quattro (Arzebajan, Grecia Israele e Qatar, anche quest’ultimo detentore di ricchi giacimenti gasiferi). Ma evidentemente poiché non è possibile che da uno stesso territorio (la Grecia) transitino quattro gasdotti in file per due e men che meno è possibile far approdare a San Foca nel Salento quattro gasdotti anziché uno solo c’è chi pensò già da allora di distruggere finanziariamente la Grecia in modo che uno dei concorrenti veniva eliminato. Il Qatar per entrare in partita doveva a sua volta distruggere militarmente la Siria perché si rifiutava di lasciar passare dal suo territorio gli oleodotti e i gasdotti che avrebbero dovuto portare gas e petrolio quataregno in Europa. come pure presumibilmente avrebbe fatto anche con Israele.
Ma se la Grecia, nazione europea, aveva il suo gas, logica avrebbe voluto che si dovesse necessariamente privilegiare il gas della Grecia nella selezione del gasdotto.. Peraltro mi chiedo: qual era la necessità che il gas dell’Arzebaijan puntasse a essere commercializzato a Occidente e non a Oriente? E’ evidente invece che le grandi elite finanziarie anglo-americane avevano deciso di continuare a privilegiare ugualmente il progetto TAP e di orientare il gas dell’Azerbajan verso l’Europa sacrificando e boicottando una possibile estrazione e commercializzazione del gas greco da parte della stessa Grecia.
Da tutte queste esigenze le grandi elite finanziarie elaborano una doppia strategia, in parte militare in parte politica, nella quale rientra anche l’impiego dell’Isis, forza terroristica creata ad arte, nella quale secondo le accuse velenose di Hillary Clinton sarebbe stato coinvolto anche l’attuale presidente degli Stati Uniti Barak Obama. “Una volta Barak Obama mi disse” – riferisce Hillary Clinton: “se devo rovesciare dei regimi non posso farlo con le parrucchiere e i contadini. Ho bisogno di professionisti. Io dopo capii”.
Quali erano questi regimi che Obama si proponeva di rovesciare? Essenzialmente cinque: Tunisia, Libia, Egitto, Siria e Iran. La creazione dell’Isis, formazione terroristica, aveva quindi in origine le seguenti finalità 1. supportare le rivolte in Mali e in Libia contro la penetrazione economica della Cina anch’essa sgradita quanto quella russa in Europa attraverso il gas; 2. rovesciare il regime di Gheddafi che ne era diventato un alleato; 3. deporre il leader siriano Assad e sostituirlo con una leadership che avesse consentito il passaggio delle condutture gasifere del Qatar attraverso la Siria 3. organizzare una sorta di pulizia etnica delle popolazioni alawite curde sciite cristiane e di altre popolazioni che non si rifacevano al radicalismo sunnita; 4. scatenare e combattere una grande guerra regionale fra sunniti e sciti per avere il pretesto di distruggere i siti nucleari iraniani.
La strategia politica per tutelare il gasdotto dell’Arzebaijan era invece fondata su una sciagurata gestione dei conti pubblici in Grecia, tendente a far precipitare la Grecia nel debito affinché la Grecia fallisse e quindi svendesse all’Azerbaijan a prezzo vile i suoi diritti estrattivi sui ricchi giacimenti gasiferi del mare Egeo. I quali – sia detto per inciso – valgono non meno di 700 miliardi di euro (quindi comunque il doppio di tutto il suo debito pubblico). La scoperta dei giacimenti greci ufficialmente è del 2010, in realtà essa risale per lo meno al 2008, perché è a partire da questa data (2008) che i greci vengono pressati da Angela Merkel e da Nicolas Sarkozy per praticare politiche sul debito suicide attraverso un’imponente spesa militare. Kostas Karamanlis, grande amico della Merkel presiede il governo greco dal 2004 ma solo partire dal 2008 e fino a quando rimane in carica nel 2009 si mette a fare spese pazze per la difesa. Tanto per dare un’’idea egli commissionò ben 170 panzer Leopard, costati 1,7 miliardi di euro, e 223 cannoni dismessi dalla Bundeswehr, la Difesa tedesca. Gli stessi capi della Nato osservavano meravigliati le pazze spese in armamenti che facevano balzare la Grecia al quinto posto nel mondo come nazione importatrice di strumenti bellici. Prima di concludere il suo mandato di premier, Karamanlis ordinò 4 sottomarini prodotti dalla ThyssenKrupp tedesca.
La spesa era così inutile e folle che il suo successore, George Papandreou si è sempre rifiutato di farseli consegnare al punto da far svolgere una perizia tecnica dai suoi ufficiali della Marina, che finì col dire che quei sottomarini non reggevano il mare. La verità, disse il suo vice Teodor Pangalos, è che «ci vogliono imporre altre armi, ma noi non ne abbiamo bisogno!”. Tuttavia, Papandreou, alla disperata ricerca di fondi internazionali, non potette dire sempre di no. A marzo del 2012 cedette e la Grecia ottiene uno sconto, invece di 4 sottomarini ne acquistò 2 al prezzo di 1,3 miliardi di euro. La Grecia ha dovuto prendere anche 223 carri armati Leopard II per 403 milioni di euro. Un guadagno immorale, secondo il leader dei Verdi tedeschi Daniel Cohn-Bendit. Papandreou deve pagare pegno anche a Sarkozy. Durante una visita a Parigi nel maggio del 2010 firma un accordo per la fornitura di 6 fregate e 15 elicotteri. Costo: 4 miliardi di euro. Più motovedette per 400 milioni di euro. Alla fine Papandreou non ce l’ha fatto più e ha rafforzato le sue resistenze, minacciando di uscire dall’euro. Allora la Merkel si è liberata di lui sostituendolo con il più docile Papademos (l’alter ego di Mario Monti in Grecia) con il quale i programmi militari sono ripartiti alla grande. La Grecia ha acquistato altri 60 caccia intercettori.
Nel 2012 Papademos brucia il tre per cento del Pil (prodotto interno lordo) in spese militari. Solo gli Stati Uniti, in proporzione, si potevano permettere tanto. Il fatto è che sia Angela Merkel che Nikolas Sarkozy ricattavano il governo greco: se volete gli aiuti, – dicevano -, dovete comprare i nostri carri armati e le nostre navi da guerra. Le pressioni di Berlino sul governo di Atene per vendere più armi furono denunciate finanche dalla stampa tedesca, allibita per il cinismo della Merkel, che imponeva sacrifici ai cittadini ellenici per poi pretendere di favorire l’ industria bellica della Germania Nel 2012 la Grecia impegnò una spesa militare superiore ai 7 miliardi di euro, il 18,2 per cento in più rispetto al 2011.. Anche il Portogallo, altro Paese con l’ acqua alla gola e al quale Germania e Francia avevano imposto la stessa ricetta, acquista armi in cambio di aiuti ed ora anche il Portogallo è ormai vicino al default. Quindi non c’è stato solo il fatto che i produttori di armamenti hanno bisogno del forte sostegno dei loro governi per vendere la propria merce. C’è stato di più, C’è stata la volontaria cosciente determinazione di distruggere finanziariamente un paese. La Grecia è uno di quei paesi indebitati che ha fatto si che nel mondo le spese militari crescessero paurosamente e nel 2011 hanno raggiungessero i 1800 miliardi di dollari, il 50 per cento in più rispetto al 2001.
Intanto quando già stavano per accantonare il progetto South stream e quindi andavano alla ricerca di alternative nel 2013 i russi molto ingenuamente si propongono a Cipro per acquisire i diritti di estrazione dei suoi giacimenti gasiferi.
Per ingraziarsi la benevolenza dei dirigenti dell’isola i dirigenti della Russia fanno anche dei prestiti a Cipro per alleviare la sua situazione economica. E quindi si offrono di rimettere in ordine i conti della banche cipriote in cambio dell’esclusiva su alcune aree di trivellazione nel Mediterraneo in cerca di gas naturale.
La reazione della grandi elite finanziarie angloamericane di fronte a questa penetrazione russa fu una reazione sconvolgente. Con il pretesto che Cipro fosse superindebitata e stesse per arrivare al default il Fondo Monetario Internazionale dispone un maxi prelievo sui conti correnti di Cipro che genera il panico tra gli oligarchi russi, infatti il 68% di quei depositi bancari di Cipro appartengono a cittadini russi. I quali utilizzano Cipro come una sorta di loro Svizzera per riceverne favori fiscali e una totale libertà di movimento dei capitali. Quindi la Russia sarebbe stata la prima danneggiata dal maxiprelievo sui conti correnti di Cipro. E in proporzioni pesantissime: 27 miliardi di dollari, sui 68 depositati sui conti correnti dell’isola.
Ma in cambio degli aiuti per circa 10 miliardi di euro, il presidente cipriota Nicos Anastasiades si trovava impegnato a fare approvare un provvedimento per eseguire un prelievo obbligatorio una tantum dai conti correnti nelle banche di Cipro. L’operazione avrebbe consentito di trovare le risorse per salvare il sistema bancario cipriota e mettere in sicurezza i conti pubblici. Alla fine si trovò un compromesso, ma certamente la reazione del FMI era stata molto dura e aggressiva nei confronti dei russi. I quali si fanno molto più prudenti nei confronti della Grecia dove cercano di acquistare la rete del gas. Ma Stati Uniti e Unione Europea si oppongono e la DESFA, azienda statale greca che si occupa di gasdotti anch’essa soggetta a privatizzazione viene ceduta alla Socar, l’azienda statale azera, che è la stessa che ha detiene le maggiori azioni per realizzare il gasdotto della TAP dietro al quale – come abbiamo visto – si nascondeva la BP inglese.
Il 28 giugno 2013, il Consorzio Shah Deniz II seleziona come progetto vincente per il trasporto del gas dell’Azerbaigian in Italia e in Europa preferendolo al progetto concorrente Nabucco West. Il 19 settembre 2013 Enel, Hera, Shell, E.ON, Gas Natural Fenosa, Gdf Suez, Axpo, Bulgargaz e Depa firmano a Baku con il Consorzio Shah Deniz II i contratti di fornitura per la più importante vendita nella storia del gas dell’umanità (si stima: 130 miliardi di Euro) che come si vede è una somma di gran lunga superiore ai 32 miliardi di dollari necessari a coprire i costi parziali della fuoriuscita di Macondo.
Il 1º dicembre 2014 nel corso di una conferenza stampa con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan il presidente della Russia Putin dichiara di voler abbandonare il progetto South Stream
Poco tempo dopo però Putin ricompare sulla scena e dichiara di aver trovato un altro partner disponibile a far transitare un gasdotto russo dalle parti balcaniche bypassando la Bulgaria. E questo nuovo partner a sorpresa è la Turchia, che è la stessa nazione che dovrebbe acconsentire al passaggio sul suo territorio delle condutture della TAP.
Russia e Turchia hanno concordato – dice un annuncio – il tracciato del gasdotto che dai giacimenti russi attraverserà il Mar Nero virando poi sulla Turchia. Il progetto sarà realizzato dalla russa Gazprom e dalla turca Botas. Seicentosessanta chilometri del nuovo tracciato ripercorreranno la stessa rotta del corridoio South Stream, mentre altri 250 solcheranno i confini tra Turchia e Grecia. Le prime condotte, la cui capacità di trasporto sarà di 15.750 milioni di metri cubi di gas, saranno operative entro il dicembre del 2016. In totale, la capacità delle quattro ramificazioni sarà di 63 miliardi di metri cubi.
Con la Bulgaria fuori dai giochi e il contratto tra Gazprom e l’ucraina Naftogaz in scadenza nel 2019, la Grecia potrebbe ritagliarsi un ruolo di primo piano come avamposto energetico della Russia in Europa. Finora UE e Stati Uniti si sono opposti alla vendita di quote della rete del gas pubblica greca a Gazprom, ma lo scenario ora potrebbe cambiare.
E mentre prima si cominciava a pensare se far passare il gas israeliano dalla Turchia oppure dalla Grecia, e non si sentiva parlare affatto del possibile sfruttamento del gas greco, ora sicuramente se ne parlerà e l’estrazione del gas è in verità l’unica soluzione che potrebbe dare un po’ di speranza a questi nostri sfortunati conterranei europei, giacché lì ci sono risorse che potrebbero non solo annullare il debito ma addirittura portare a un surplus del bilancio di ben 300 miliardi di euro. Blu Stream passando dalla Turchia e dalla Serbia porterà il gas russo in Austria e di lì in Europa Centrale. Già, ma poi il gasdotto della TAP tanto voluto da Hillary Clinton in funzione anti-russa e in funzione del mercato unico transeuroatlantico che fine farà?
Michele Imperio
Fonte: lanotteonline.com
Note
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