giovedì 5 febbraio 2015

La storia del primo serial killer italiano, il Vampiro della Bergamasca


Di Alessandro Amato - vice.com
Per qualche strana e macabra ragione, le storie legate agli assassini seriali sono stimolanti, e generano quel tipo di curiosità morbosa di cui un po' ci si vergogna. Basti pensare allo status iconico raggiunto nella cultura popolare da ​Ted Bundy​Richard Ramirez o ​John Gacy
A livello mediatico, in Italia, ci siamo dovuti "accontentare" dello sguardo tiroideo di ​Angelo Izzo e dei picchi grotteschi raggiunti durante il processo al ​Mostro di Firenze. Ma anche il nostro paese ha dato vita a un'ampia letteratura sugli omicidi seriali.
Vincenzo Verzeni, il Vampiro della Bergamasca, è stato il primo serial killer italiano riconosciuto, più volte associato al padre di tutti gli assassini seriali, Jack lo Squartatore. Intorno al 1870 Verzeni ha brutalmente ucciso due donne e tentato di strangolarne altre sei—compresa la cugina Marianna—e avrebbe quasi sicuramente aggiunto altri nomi alla lista se non fosse stato fermato in tempo. È difficile infatti passare inosservati in un piccolo paese contadino come Bottanuco, soprattutto se ci si sceglie come vittime cugine e amiche di famiglia.
Più che il numero dei delitti, ciò che ha reso speciale il caso di Verzeni è stato il suo modus operandi, simile per certi versi a quello che solo quindici anni dopo avrebbe caratterizzato l'omicida londinese, ma più rozzo e brutale. Le sue vittime sono state ritrovate in circostanze raccapriccianti: prima le aveva strangolate, poi spogliate, coperte di ferite, e infine aveva asportato diverse parti del corpo, compresi alcuni organi interni. L'efferatezza e i particolari macabri della sua storia avevano addirittura attirato l'interesse del più celebre criminologo e misuratore di bozzi cranici d'Italia, Cesare Lombroso, spingendolo a farne un importante caso di studio e a partecipare al processo dalla parte della difesa, sostenendo l'infermità mentale dell'imputato. La caratteristica che ha destato l'interesse scientifico di Lombroso era l'apparente assenza di un movente, di una ragione che andasse aldilà del semplice "piacere di uccidere" sostenuto nelle dichiarazioni di Verzeni.

Il contesto geo-sociale—la desolante bassa bergamasca del diciannovesimo secolo, dove la vita era scandita dalle funzioni religiose e dove si moriva di pellagra a causa della scarsità alimentare—insieme a qualche ipotetico cortocircuito famigliare e a una certa predisposizione biologica, potrebbe essere una tra le cause che hanno concorso alla pazzia omicida di Vincenzo Verzeni, fino ad allora considerato un "contadino per bene".
Io sono cresciuto nelle stesse opprimenti zone dove è vissuto il Vampiro della Bergamasca, e la sua storia ha sempre attirato la mia attenzione. Quest'anno è uscito un libro sulla sua vicenda intitolato Lo strangolatore di donne, la drammatica storia di Vincenzo Verzeni, e per capire qualcosa di più ho chiamato direttamente l'autore del libro. Massimo Centini è un antropologo esperto in criminologia che per anni ha analizzato le vecchie perizie dei dottori (Lombroso compreso) e i documenti ufficiali del processo a Verzeni.
VICE: Ciao Massimo. Vincenzo Verzeni viene chiamato in molti modi: strangolatore, vampiro, sadico sessuale. Quale fra questi descrive meglio la sua figura?
Massimo Centini: Verzeni ha riassunto in sé tutte queste caratteristiche, e altre ancora. Mi sento di dire però che sia stato innanzitutto un sadico sessuale; lui strangolava le donne perché gli procurava piacere sessuale, l'atto in sé lo portava all'orgasmo, come ha dichiarato egli stesso. Il vampirismo si manifestava successivamente come sublimazione dell'omicidio e dell'atto sessuale, beveva il sangue perché anch'esso stimolava in lui l'eros. D'altronde la matrice sessuale è un sostrato comune a quasi tutti gli assassini seriali.
Tu nel tuo libro l'hai chiamato anche edonista, in che senso?
[Questa categoria] è molto simile a sadico, ma rimanda a un discorso più psicanalitico che si rifà alla tesi freudiana della lotta fra Eros e Thanatos. L'edonista uccide perché gli piace, prova piacere sessuale nel farlo. Il sadico può anche darsi che si fermi prima di uccidere la vittima, come è capitato nel caso di Verzeni che ha strangolato diverse donne senza però ucciderle.
Stando alle regole dei cosiddetti "profiler", per aggiudicarsi l'appellativo di serial killer bisogna aver commesso almeno tre omicidi. Verzeni ne ha commessi "solo" due ma è comunque considerato tale, perché?
Ecco, Verzeni stesso [durante il processo] aveva dichiarato che avrebbe continuato a fare ciò da cui traeva godimento. Quindi se non l'avessero fermato quasi subito, le sue vittime sarebbero sicuramente state molte di più, e questo fa di lui un potenziale assassino seriale. In secondo luogo il simbolismo e il suo modus operandi lo rende affine a numerose figure di serial killer. Anzi, si potrebbe dire che Verzeni sia stato un caso da manuale; lo testimonia anche il fatto che Lombroso si è scomodato e ha speso non poche energie in varie perizie e analisi.
A proposito di simbolismo. In entrambi gli omicidi Verzeni ha posizionato degli spilli in un ordine particolare, una specie di raggiera, e ha asportato un polpaccio della vittima. Che significato può avere tutto ciò?
Purtroppo non è stata trovata alcuna spiegazione agli spilli. I resti delle donne invece sono stati ritrovati in luoghi diversi, perciò si pensa che avesse anche praticato del cannibalismo; infatti un polpaccio che aveva asportato presentava segni di morsi. In ogni caso questi rituali si potrebbero interpretare anch'essi come una sublimazione del delitto, come se l'assassino dovesse in qualche modo imprimere un segno, anche nella sua memoria.
Capisco. In genere si pensa che esista un'equazione tra zona industrializzata e maggiore incidenza di omicidi seriali. Questo perché le periferie metropolitane sono un luogo ideale dove commettere crimini senza farsi troppo notare. Bottanuco è l'eccezione che conferma la regola?
Mah, si tratta di statistiche. Come si sa, la statistica è la meno esatta delle scienze esatte. In realtà è vero anche l'opposto. Ci sono stati parecchi casi in cui il serial killer ha agito in realtà rurali o luoghi sperduti. Se lei si ricorda di Stevanin, famoso assassino degli anni Novanta, lui era originario di un piccolo paese nel veronese dove ha commesso gran parte dei suoi crimini. Un altro caso quasi contemporaneo a Verzeni è quello della "Iena" di San Giorgio in Piemonte, un luogo così sperduto che Bottanuco sembrerebbe una metropoli a confronto. Inoltre bisogna dire anche che molti casi una volta non venivano considerati omicidi seriali, nonostante presentassero tutte le prerogative.
Quindi non è vero che i serial killer si annidano là dove c'è più delinquenza, come nelle grandi città?
È vero solo in parte. Nel senso che ovviamente nelle grandi città c'è più gente, si possono trovare prostitute [fra le vittime predilette dagli assassini seriali], c'è una maggior possibilità di passare inosservato, confondersi e rimanere anonimo, mentre nei paesini si conoscono tutti. Infatti Verzeni sapevano tutti chi fosse, e veniva spesso emarginato per i suoi atteggiamenti "strani". È per questa ragione che, per esempio, il nord Italia ha sempre registrato molti più casi di serial killer rispetto al sud.
Il contesto della storia di Verzeni mi ha ricordato molto Halloween di John Carpenter. Anche lì il luogo era una cittadina tranquilla, e il serial killer si annidava in una famiglia agiata e insospettabile, almeno dal fuori.
Certo, certo. Qui il discorso è molto ampio. Spesso si sente dire che "una volta si stava meglio, c'erano meno omicidi..." ma non è vero. In quelle realtà apparentemente idilliache le persone si scannavano per un pezzo di terra. E poi c'era il vino. Bevevano come spugne per non pensare a una vita senza molte prospettive, e la violenza era all'ordine del giorno. L'unica differenza è che oggi abbiamo più sensibilità verso questo tipo di cose a causa dei media e della televisione; tutti sappiamo cos'è un serial killer, come agisce, i moventi e che tipo di disturbi psicologici lo contraddistinguono.
A quel tempo era molto diffusa la pellagra, può essere in qualche modo collegata alla pazzia di Verzeni?
La pellagra per quegli anni è stata una persecuzione. Presentava i cosiddetti stadi delle tre D—dermatite, dissenteria e demenza. Fino a che punto questa possa avere a che fare con la mentalità criminale, sinceramente non glielo so dire. Allora l'attenzione si focalizzava più sull'individuo criminale, quasi in senso biologico. Oggi invece viene dato molto più peso ai fattori esterni, ai fattori sociologici.
Questa malattia era il risultato di una dieta molto povera e poco varia. Più in generale, potrebbe esserci un nesso tra alimentazione e follia omicida?
Mi viene in mente una malattia di cui si dice soffrano alcuni inuit e altre popolazioni del nord, come in Alaska per esempio. Si chiama "isteria artica" [o Piblocto] ed è connessa all'eccessiva assunzione di carne e alla carenza di altri nutrienti, soprattutto vitamine. Sembra che le persone affette siano colpite da strani raptus; si avventano sugli altri esseri umani cercando di morderli. Insomma, porta a una sorta di cannibalismo. 
Viste le molte affinità tra i due, un paragone con Jack lo squartatore è dovuto. Cosa li accomuna e cosa li distingue?
Be', Jack lo squartatore è il più "eminente" fra i serial killer. È un termine di paragone per molti, forse troppi casi, e ha generato una letteratura infinita. Possiamo dire che Jack lo squartatore in confronto a Verzeni era uno snob. E forse è anche per questo che uno è stato preso e l'altro no. In ogni caso hanno avuto parecchi tratti in comune: entrambi hanno ucciso solo donne, ed entrambi hanno asportato gli organi delle vittime; il loro modus operandi era molto simile, ma Verzeni si è distinto per aver praticato del vampirismo e della necrofagia. Magari chissà, un giorno un giovane regista farà un bel film sulla storia di Vincenzo Verzeni, Bottanuco e Cesare Lombroso così come è stato fatto per Jack lo squartatore.
Segui Alessandro su Twitter: ​@Aleamatotim
Fonte: VICE.COM


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