Il grande mercato transatlantico, gigantesca zona di libero scambio tra l’Europa e gli Stati Uniti, è il grande progetto del momento. Ma i media ne parlano poco. Come mai ?
Perché l’opinione pubblica è tenuta in disparte, e i negoziati si svolgono a porte chiuse. È tuttavia un affare enorme. Si tratta di mettere in opera, procedendo ad una deregolamentazione generalizzata, un’immensa zona di libero scambio, corrispondente ad un mercato di più di 800 milioni di consumatori, alla metà del PIL mondiale ed al 40% degli scambi mondiali. Il progetto porta il nome di « Partnership transatlantica di commercio e di investimenti. ». Aggiungendosi alla « Partnership transpacifica » lanciato nel 2011 dagli Stati Uniti, mira a creare la più grande zona di libero scambio del mondo grazie ad una vasta unione economica e commerciale che darebbe vita al progetto di una ” nuova governance” comune ai due continenti.
Creando una sorta di NATO economica, l’obiettivo degli americani è di togliere alle altre nazioni il controllo dei loro scambi commerciali a favore di multinazionali in maggior parte controllate dalle loro élite finanziarie. Parallelamente, vogliono contenere la crescita della Cina, diventata il primo paese esportatore mondiale oggi. La creazione di un grande mercato transatlantico offrirebbe agli americani un partner strategico suscettibile di far cadere gli ultimi poli industriali europei. Permetterebbe di smantellare l’Unione Europea a vantaggio di un’unione economica intercontinentale, cioè relegare definitivamente l’Europa ad un grande insieme « oceanico » separandola dalla sua parte orientale e da qualsiasi legame con la Russia.
Questi negoziati si svolgono nelle alte sfere, senza chiedere l’avviso dei governi . Nuova disfatta della politica?
La « liberalizzazione » totale degli scambi commerciali è un vecchio obiettivo degli ambienti finanziari e liberali. Il progetto di un grande mercato transatlantico è maturato discretamente per più di vent’ anni dietro le quinte del potere, sia a Washington che a Bruxelles. I primi negoziati ufficiali si sono aperti l’8 luglio 2013. Un secondo e terzo round di discussione ha avuto luogo a novembre e dicembre scorsi. Una nuova riunione è prevista a Bruxelles a marzo. I partner sperano di giungere ad un accordo entro 2015. I governi europei non partecipano alle discussioni che sono condotte esclusivamente dalle istituzioni europee. In compenso, le multinazionali sono strettamente associate.
Sapendo che in questo momento, 2,7 miliardi di beni e di servizi si scambiano già ogni giorno tra l’Europa e gli Stati Uniti, la soppressione degli ultimi diritti di dazio cambierà veramente qualcosa ?
La soppressione dei diritti di dazio non avrà effetti macro-economici seri, tranne nel campo del tessile e del settore agricolo. Molto più importante è l’eliminazione programmata di ciò che chiamiamo « barriere non tariffarie » (BNT), vale a dire l’insieme delle regole che i negoziatori vogliono far sparire perché costituiscono tanti « ostacoli alla libertà del commercio » : norme di produzione sociale, salariale, ambientale, sanitaria, finanziaria, economica, politica, ecc… L’obiettivo di allinearsi al « più alto livello di liberalizzazione che esista », « l’armonizzazione » sarà raggiunto tramite l’allineamento delle norme europee alle norme americane.
Nel campo agricolo, per esempio, la soppressione dei BNT dovrebbe portare l’arrivo massivo sul mercato europeo dei prodotti a basso costo dell’agrobusiness americano : manzo agli ormoni, carcasse di carne spruzzate di acido lattico, polli lavati con la clorina, OGM, animali nutriti con farine animali, prodotti composti da pesticidi di cui l’uso è vietato, additivi tossici, ecc… In materia ambientale, la regolamentazione che limita l’industria agro-alimentaria sarà smantellata. In materia sociale, sono tutte le protezioni legate al diritto del lavoro che potrebbero essere rimesse in causa. I mercati pubblici saranno aperti « a tutti i livelli », ecc…
C’è qualcosa di ancora più grave. Una delle questioni più esplosive del negoziato riguarda la messa in vigore di un meccanismo di « arbitraggio delle controversie » tra Stati ed investitori privati. Questo meccanismo inteso come di « protezione degli investimenti » deve permettere alle imprese multinazionali ed alle società private di citare in giudizio ad hoc gli Stati o le collettività territoriali che farebbero evolvere la loro legislazione in un senso considerato come nocivo ai loro interessi o di natura tale da restringere i loro benefici, cioè ogni volta che le loro politiche di investimento sarebbero messe in discussione dalle politiche pubbliche, al fine di ottenere un risarcimento danni. La controversia sarebbe arbitrata in modo discrezionale da giudici o da esperti privati, fuori dalle giurisdizioni pubbliche nazionali o regionali. L’importo del risarcimento sarebbe potenzialmente illimitato, ed il giudizio reso non sarebbe suscettibile di nessun appello. Un meccanismo di questo tipo è già stato integrato all’accordo commerciale che l’Europa ha negoziato con il Canada recentemente.