lunedì 24 febbraio 2014

Der Spiegel: "Unificazione Europea da sempre progetto delle elite"

ARTICOLO BOMBA DEL DER SPIEGEL: ''L'UNIFICAZIONE EUROPEA E' SEMPRE STATA UN PROGETTO DELLE ELITE CONTRO LE PERSONE''


ARTICOLO BOMBA DEL DER SPIEGEL: ''L'UNIFICAZIONE EUROPEA E' SEMPRE STATA UN PROGETTO DELLE ELITE CONTRO LE PERSONE''

Wilfried Loth, professore di Storia alla Universitaet Duisburg-Essen e considerato uno dei massimi studiosi tedeschi del Novecento, ha rilasciato una straordinaria intervista al settimanale Der Spiegel

SPIEGEL: Professore, le Elite europee criticano il referendum svizzero, mentre molti cittadini europei condividono la stessa ansia degli svizzeri per gli immigrati. La sorprende la distanza fra le parti?

Loth: No, l'unificazione europea è sempre stata un progetto delle Elite. Fin dall'inizio, gli uomini di stato in carica non han voluto interferenze causate dalla partecipazione popolare e da varie associazioni d'interessi. Una politica di questo tipo porta naturalmente ad una discrepanza tra le Elite e le popolazioni.

SPIEGEL: La paura nei confronti della partecipazione popolare, è giustificata?

Loth: Evidentemente si. Tuttavia, non può funzionare in alcun altro modo. Prendiamo i trattati di Roma per esempio, attraverso i quali è stata fondata la Comunità Economica Europea (CEE), la più importante organizzazione precorritrice dell'EU. L'opinione pubblica tedesca era consapevole del contenuto dei trattati, mentre in Francia come da altre parti, sono stati applicati con la forza.

SPIEGEL: I trattati di Roma vengono considerati una pietra miliare.

Loth: Quella volta, la Repubblica federale tedesca non aveva assolutamente alcun interesse in quei trattati. Soltanto il 25% dell'export tedesco finiva nei cinque Stati cofondatori della CEE. Il ministro delle finanze Ludwig Erhard descrisse l'idea di un'unione economica come un "non-sense macroeconomico".  Anche per la Francia, un'unione di quel tipo sarebbe stata molto problematica.

SPIEGEL: Allora perché è stata fatta ugualmente?

Loth: Motivi politici. La Francia volle inserire la Bundesrepublik nella comunità occidentale per motivi di sicurezza. Anche il Cancelliere Konrad Adenauer perseguì questo obiettivo, per il semplice motivo che lui stesso non si fidava dei tedeschi dopo i tempi grigi del nazismo. Il contenimento dei tedeschi è sempre stato la principale forza motrice dell'integrazione. Oltre a ciò, vi era un secondo motivo, e cioè quello di affermarsi contro la supremazia americana, e ciò avrebbe potuto funzionare solo tutti assieme.

SPIEGEL: Lo scandalo NSA ha rinforzato l'Unione, soprattutto gli europei continentali.

Loth: Si, la pressione dall'estero è una costante fondamentale, che spiega molte accelerazioni sull'integrazione. Ciò accadde, per esempio, quando si volle evitare il rischio della nascita di una potenza nucleare europea negli anni '50, o più tardi quando si volle evitare di dipendere da una moneta come il dollaro, troppo soggetta alle crisi.

SPIEGEL: Non sarebbe stato più intelligente coinvolgere i cittadini nella strada per l'integrazione europea?

Loth: Da un punto di vista storico, non è poi così drammatico. Prendiamo per esempio gli Stati nazionali del XXI secolo. L'idea che tutti i tedeschi avrebbero dovuto vivere in un unico Stato, ha trovato approvazione soltanto tra le Elite. La maggior parte della popolazione non fu coinvolta e guardò con grande scetticismo a ciò che la classe media emergente stava mettendo in pratica. Nonostante ciò, nel 1871 venne fondato il Reich tedesco.

SPIEGEL: Non c'è mai stato un forte entusiasmo nei confronti dell'Unione europea?

Loth: Non nel senso come si racconta oggi in Europa. Bruxelles vuole farci credere che, dopo la seconda guerra mondiale, molti francesi, tedeschi, italiani ed altri usciti dall'esperienza bellica, sarebbero stati entusiasti di assicurare la pace attraverso l'integrazione europea. Questo entusiasmo, prosegue il racconto mainstream, sarebbe andato perduto con la morte della generazione della guerra.

SPIEGEL: Che cosa c'è di sbagliato in questo?

Loth: Dopo la seconda guerra mondiale, la quasi totale maggioranza dei Paesi del continente era stata d'accordo sulla creazione di un qualche tipo di federazione europea. Ma come sarebbe dovuta essere, socialista o liberale, unione economica o alleanza di sicurezza, con la Gran Bretagna o senza, le opinioni erano state totalmente contrastanti. Fino ad oggi, abbiamo una discrepanza tra l'Europa che vorremmo e l'Europa fattibile. Questo spiega, tra l'altro, perché l'integrazione europea si trova continuamente in crisi.

SPIEGEL: Anche Helmut Kohl racconta volentieri, che l'Europa sarebbe nata come un progetto di pace.

Loth: A livello di alta politica, si tratta di una leggenda. Il racconto di Kohl, infatti, è fuorviante. Tuttavia, è vero che c'è stata una relazione più stretta fra i popoli dove questo elemento emotivo ha avuto un ruolo importante.

SPIEGEL: Probabilmente, un relazione così debole, che nei secoli non ci si è fidati di coinvolgere le popolazioni.

Loth: Vabbé, è vero per esempio che non si arrivò mai a votare una vera riconciliazione tra Germania e Francia. Io credo che sarebbe stata molto popolare, nonostante tutto. Invece si scelse di puntare ad un progetto tecnocratico. Il premio Nobel per la pace che ha ricevuto l'UE non è stato assegnato per merito della sua stessa fondazione, ma soprattutto per la pacifica annessione dell'est europeo dopo la caduta del muro di Berlino.

SPIEGEL: Ritiene che i risultati conseguiti fino ad oggi dall'UE, siano resistenti alle intemperie politiche?

Loth: Fondamentalmente si, anche se non sono esclusi passi indietro. La tensione fra le convinzioni e le conoscenze delle Elite e le emozioni delle persone può portare ad un'escalation, con conseguenze molto problematiche. Il referendum svizzero è il miglior esempio. Ci sarebbe bisogno di una guida politica dall'alto, in passato chiamata Staatskunst (L'arte di Stato ndr).

SPIEGEL: Cosa ne deduce?

Loth: Prima di tutto, c'è bisogno che i decisori politici siano convinti, che l'obiettivo prefissato sia quello giusto, soprattutto per le persone di cui sono responsabili. Poi, è necessario che si sviluppi un rapporto di fiducia tra le controparti. Ed infine c'è bisogno di trasmettere la sensazione ai cittadini che la direzione scelta sia quella giusta.

SPIEGEL: Qual'è il Cancelliere che più si è avvicinato a questi criteri?

Loth: Adenauer si piazza certamente al primo posto, tallonato dal Kohl dell'ultimo periodo. Poi metterei Helmut Schmidt e Gerhard Schröder ed infine, staccata di parecchie lunghezze, Angela Merkel.

SPIEGEL: Come mai la Cancelliera è così distante da quei criteri?

Loth: L'elemento concettuale e strategico della Merkel è certamente molto meno pronunciato rispetto a Kohl oppure Adenauer. E con ciò non intendo dire che lei abbia un'idea troppo vaga di come l'Europa dovrebbe essere, ma solo come il suo modo di intendere la politica sia troppo pragmatico. Lo si è potuto osservare bene durante l'eurocrisi. La Cancelliera ha frugato nella nebbia e ha navigato a vista.

SPIEGEL: Helmut Schmidt è stato anche molto pragmatico come Cancelliere.

Loth: Schmidt ha vissuto una conversione molto interessante. Nel 1957 fu una delle poche autorità che si opposero alla ratifica dei trattati di Roma. Proprio per questo motivo, egli non viene ricordato molto volentieri. Negli anni '70 si schierò contro le ambizioni politiche di Willy Brandt e fu per molto tempo critico nei confronti di un'unione monetaria. Nonostante ciò, capì come la moneta unica fosse necessaria, e si adoperò per la sua realizzazione.

SPIEGEL: Ha fiducia che la Cancelliera possa cambiare rotta, proprio come Schmidt?

Loth: Non so se la Merkel sia in grado di superare la sua politica di navigazione a vista. L'attuale dibattito se la Germania debba prendersi più responsabilità nella politica mondiale, mi lascia parecchi dubbi in ogni caso. È significativo che il presidente della Repubblica abbia preso posizione nel dibattito, mentre la Cancelliera tace.

SPIEGEL: Come giudica la capacità della Merkel di guadagnarsi nuovi partner negoziali, come per esempio i francesi?

Loth: Fondamentalmente, la Merkel c'è l'ha dura ad inscenare amicizie politiche, in modo da poterle usare per fini superiori. In riferimento alla Francia, si può rimproverarla solo limitatamente. Il tandem franco-tedesco non sta funzionando soprattutto a causa della debolezza di François Hollande. In ogni caso, alcuni gesti solidali della Merkel nei confronti del presidente francese sarebbero stati di grande aiuto, proprio come Kohl nei confronti di Mitterand o come Schröder nei confronti di Chirac. Ma una cosa del genere non è proprio nelle corde della Cancelliera.

SPIEGEL: Rimane la domanda sulla capacità della politica di spiegare le proprie decisioni al popolo.

Loth: È mancato poco che la Merkel raggiungesse l'assoluta maggioranza nelle ultime elezioni di settembre 2013. Il popolo tedesco ripone molta fiducia in lei, e la situazione non cambierà molto nella sostanza, neanche a seguito di ulteriori decisioni impopolari di politica europea. Tuttavia il consenso politico europeo rimarrà debole nella società tedesca, fino a quando la Cancelliera non spiegherà meglio le correlazioni e le conseguenze di tali decisioni. Deve fare attenzione a non ricadere nei luoghi comuni e nei pregiudizi, che la gente ha nei confronti dei tedeschi.

SPIEGEL: A cosa si riferisce in particolare?

Loth: Invece di suggerire che non ci sarebbe bisogno di alcun ulteriore aiuto alla Grecia, dovrebbe prendere esempio dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Egli ha sempre cercato di spiegare il motivo per cui gli aiuti sarebbero necessari e che cosa ne ricaverebbero i tedeschi in cambio.

SPIEGEL: Molti tedeschi hanno la convinzione che la Germania, al contrario delle altre nazioni, faccia da sempre attenzione al bene comune.

Loth: Questo è un mito. Che si tratti di politica agricola o di politica doganale, come in altri settori, i vari governi tedeschi si sono sempre preoccupati di far valere i propri interessi, così come fanno i governi degli altri Stati europei.

SPIEGEL: E come ha funzionato durante l'eurocrisi?

Loth: In nessun altro Paese, il mantenimento dell'unione monetaria è così importante come in Germania. Se rinunciassimo all'euro, il nostro export crollerebbe, a prescindere dagli investimenti tedeschi negli Stati in crisi.

SPIEGEL: E come mai, allora, continuiamo a considerarci come i pagatori ufficiali d'Europa?

Loth: Il governo tedesco non ha pagato affinché il denaro venga consumato a vanvera, quanto per sostenere investimenti per lo sviluppo di Regioni economicamente in difficoltà. Nel lungo periodo, questo è un vantaggio economico, ma soprattutto politico dei tedeschi. La Germania non può permettersi alcun fallimento di Stato in Europa.

SPIEGEL: La riluttanza della Merkel a spiegare la sua politica, non sarebbe più adatta ai tempi, spiega nel suo ultimo libro. Il tempo dello sviluppo tecnocratico delle istituzioni europee, senza il coinvolgimento dei popoli, sarebbe scaduto.

Loth: Questo perché l'UE avrebbe raggiunto una sorta di profondo controllo a livello normativo. La fondazione della CEE nel 1957 non ha portato con se alcun visibile cambiamento. Per molti tedeschi, la CEE non ha mai contato nulla se non nel quiz televisivo di Hans-Joachim Kulenkampff  "Qualcuno vincerà". Oggi, l'Unione europea è conosciuta da tutti. Le decisioni di Bruxelles influenzano il quotidiano, fino al punto da scegliere se permettere la coltivazione di mais geneticamente modificato. Per questo motivo, i cittadini richiedono giustamente un coinvolgimento maggiore. A tale riguardo, il rafforzamento della rappresentatività dei popoli è un problema urgente, tanto che lo stesso Kohl lo riconobbe.

SPIEGEL: In che senso?

Loth: Come nella fase introduttiva dell'unificazione tedesca, quando Helmut Kohl affrontò il rafforzamento e lo sviluppo dell'unione politica, così fece in seguito a livello continentale, puntando essenzialmente al rafforzamento del Parlamento europeo, proprio perché capì, da buon politico specializzato in questioni interne, quanto malcontento si sarebbe potuto accumulare. Questo accadeva alla fine degli anni '80, e tuttavia, egli non risolse molto con il trattato di Maastricht, tanto che ancora oggi ci si trova di fronte al problema.

SPIEGEL: La situazione sta cambiando. Ci troviamo all'inizio delle campagne elettorali europee, in cui ,per la prima volta, i candidati di spicco si giocheranno, di fatto, anche la presidenza della Commissione.

Loth: Questo è un grande passo in avanti verso una maggiore legittimazione politica. Proprio ora si sta discutendo sulle alternative, sia a livello politico che di singoli candidati. Indifferentemente da chi vincerà, ne beneficerà la politica che il vincitore sceglierà di attuare, perché maggiormente legittimata rispetto ad oggi. Ed è molto probabile che aumenti anche la partecipazione elettorale.

SPIEGEL: La Merkel nutre ancora molti dubbi in questo modo di fare campagna elettorale.

Loth: Certo, ma una competizione fra i candidati di spicco porterà ad una forte politicizzazione della Commissione europea. Ciò potrebbe infastidire qualcuno, soprattutto quelli abituati all'attuale funzionamento istituzionale. Ma questo è un modo di pensare superato, non ha più molto senso tenerne conto per vincere le sfide di oggi.

SPIEGEL: Professore, la ringraziamo per questa chiacchierata.

Traduzione Matteo Thormann


Fonte: ilnord.it

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