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“Se si considera che in Germania circa 300.000 posti di lavoro dipendono dall'export con la Russia, ne consegue che un calo stabile del 20% potrebbe portare, nel peggiore dei casi, a una perdita di 60.000 posti di lavoro”. È stato lapidale, Eckhard Cordes, presidente del comitato orientale dell'economia tedesca, nella sua intervista al Rheinischen Post.
In termini di fatturato la perdita è superiore ai 6 miliardi di euro. Il valore totale dell'export tedesco verso la Russia era infatti, ancora pochi mesi fa, di 30 miliardi di euro. Ora, grazie alle sanzioni imposte dagli americani alla UE, è sceso a 24.
Si perchè, come sottolinea ancora Cordes “sono soprattutto gli europei a pagare il prezzo economico di questa crisi politica”, e come osservava sarcastico un uomo d'affari tedesco “gli americani sanno come organizzare sanzioni senza che le loro imprese ne vengano danneggiate”. In effetti il volume d'affari delle imprese americane operanti in Russia non è diminuito in seguito alle sanzioni, ma è anzi addirittura aumentato.
Le cifre snocciolate da Cordes devono essere state prese sul serio in Germania se Angela Merkel, come riferisce Max Parisi sul sito Il Nord, “ha avanzato la proposta di una serie di trattative tra l'Unione Europea e l'Unione Eurasiatica istituita da Mosca per 'parlare di una cooperazione e di uno spazio commerciale comune'”. La condizione, ovviamente, “è che si trovi una soluzione pacifica al conflitto nell'Est dell'Ucraina”, riferisce ancora Parisi.
Qui però la Merkel segue il classico schema: timida avance nei confronti del Cremlino, con la carota del ritiro delle sanzioni, o della proposta di un tavolo di trattative commerciali. E contemporanea richiesta di una contropartita sul fronte – è proprio il caso di dirlo, a ostilità ricominciate... - ucraino.
Come se la pace nel Donbass dipendesse solo dal Cremlino o dai ribelli filorussi del Donbass. Come se non dipendesse anche e soprattutto da chi le ostilità le ha avviate, proseguite e riprese nel massimo disprezzo per la convenzione di Ginevra. (Quest'ultima vieta praticamente tutto ciò che Kiev ha fatto a partire dal maggio scorso: dall'impiego delle bombe a grappolo, al trattamento disumano dei prigionieri di guerra; dai bombardamenti indiscriminati sulle popolazioni civili alle fosse comuni.)
E ancora: come se solo Mosca dovesse esercitare pressioni sulle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, e non l'Occidente, e soprattutto gli USA, fare altrettanto con Kiev.
Parisi è ottimista, nel suo articolo, quando scrive: “la vera notizia è data da questa clamorosa svolta di Angela Merkel, che propone un rivoluzionario trattato di libero scambio – alternativo all'americano TTIP – tra l'Unione Europea e l'Unione Eurasiatica varata da Putin, che comprende la Russia e un blocco consistente di stati dell'ex Unione Sovietica e che potrebbe anche includere a breve la Cina”.
Se solo la metà di tutto ciò si avverasse, si tratterebbe di una svolta davvero clamorosa: dallo sciagurato aut aut tra Russia e UE che Bruxelles impose a Yanokovic, prima che questo rifiutasse di firmare il trattato d'associazione tra UE e Ucraina, alla prospettiva di una cooperazione commerciale euroasiatica, da Lisbona a Vladivostock, passando addirittura da Pechino, Hong Kong e Shangai.
Ma nei suoi incerti approcci verso il Cremlino, Angela Merkel non dovrebbe dimenticare le recenti parole del ministro degli esteri russo Lavrov: “le sanzioni non le abbiamo imposte noi, quindi è un problema europeo”.
Tradotto: provvedimenti unilaterali come le sanzioni vanno rimosse in modo altrettanto unilaterale. La UE tolga le sanzioni SENZA chiedere controparti.
Dopo, solo dopo, si potrà tornare a trattare.
Sembrerebbe che I paesi europei, tuttora impossibilitati a esprimere una politica estera indipendente, e spesso sotto ricatto americano, non riescono nemmeno a immaginare come proprio i ricatti costituiscano l'approccio più sbagliato con un Paese sovrano come la Russia.
Fonte: italian.ruvr.ru