La parola “diamante” generalmente è associata al Sudafrica, al Botswana, alla Namibia, dove la pietra preziosa, estratta in miniere circoscritte e superprotette, ha favorito uno sviluppo economico armonioso e diffuso. Dopo che Leonardo Di Caprio ha interpretato il film
Blood diamonds molti hanno appreso che ci sono anche paesi come la Sierra Leone, l’Angola e il Congo, per i quali i diamanti hanno significato lunghe e sanguinose guerre civili.
Pochi però sanno che lo Zimbabwe appartiene alla ristretta schiera dei paesi produttori di diamanti. Prima del 2006 esistevano solo due miniere, dalla produzione modesta: River Branch al sud, la più antica, gestita per qualche anno da compagnie canadesi e australiane e poi venduta per la sua scarsa redditività, e Murowa al centro del paese, sfruttata da Rio Tinto, il colosso minerario australiano.
Nel 2006 furono scoperti i diamanti a Marange, ad est del paese, vicino alla frontiera con il Mozambico. Sono depositi alluvionali, cioè diamanti disseminati in una grande area, lungo i corsi d’acqua, che si possono recuperare anche scavando con il piccone e la pala. La notizie percorse tutto il paese, allora in preda ad una soffocante crisi economica, e in poche settimane la zona si riempì di cercatori artigianali di diamanti. Ma come il miele attira le mosche, i diamanti attraggono gli uomini armati e in divisa. Marange divenne subito unfar west, con militari e poliziotti a disputarsi le pietre preziose con cercatori e scavatori.
Diritti umani calpestati
Un rapporto di Human Right Watch del giugno 2009 denuncia gli abusi contro i diritti umani commessi sistematicamente a Marange. La zona è diventata una sorta di girone infernale intorno al quale sono compiuti veri e propri massacri, stupri, oltre che pratiche di lavoro forzato, spesso minorile, e uccisioni sommarie. Da lì parte un immenso giro di prostituzione, di contrabbando e di corruzione, i cui proventi finiscono tutti nelle tasche di una classe militare e politica, cosciente di essere ormai precaria, quindi intenzionata a sfruttare, o meglio saccheggiare, il paese fino a che sarà possibile.
A scoprire i diamanti a Marange era stata la De Beers, l’azienda sudafricana leader mondiale della commercializzazione dei diamanti, ma anche all’avanguardia per la prospezione dei siti diamantiferi. Ma per una volta la De Beers si sbagliò, e non valutò l’entità di quei giacimenti. Rinunciò alla concessione, e il governo di Harare la trasferì alla britannica African Consolidated Resources.
Per questa piccola impresa sarebbe stato l’affare del secolo, se il governo di Harare avesse rispettato il diritto commerciale. Quando si sparse la voce che quello poteva essere uno dei più ricchi depositi di diamanti del mondo, i legali del presidente-dittatore Mugabe inventarono dei vizi di forma nel contratto, ed espropriarono l’impresa inglese, con tanto di raid negli uffici della compagnia e sequestro di documenti, computer e relazioni sulle prospezioni effettuate.
Alla miniera di River Ranch era accaduta la stessa cosa: la febbre dei diamanti aveva contagiato un generale, Salomon Mujuru, l’eroe della guerra di indipendenza, un cacicco del partito al potere ZANU-PF, Trivanhu Mudariki, e la moglie del presidente Mugabe, Sibonokuhle Moyo. Costituita la Bubye Minerals, ottennero con facilità i diritti di sfruttamento.
Le misure del Processo di Kimberley
Nella sua riunione del luglio 2010 a Sanpietroburgo il Kimberley Process ha votato un embargo dei diamanti prodotti a Marange. Il Kimberley Process è un sistema di certificazione concordato dai governi dei paesi esportatori e importatori di diamanti, con la collaborazione esterna dell’industria dei diamanti e delle Ong, che ha il fine di escludere dal commercio mondiale i diamanti estratti in zone di conflitto e di grave violazione dei diritti umani.
Emissari del Kimberley Process hanno costatato che i militari hanno il controllo quasi totale dei campi diamantiferi di Marange, e che sono loro a manovrare la rete di contrabbandieri.
Quello dello Zimbabwe è un caso esemplare: da una parte, troviamo un dittatore vecchio e impresentabile come Robert Mugabe, ancora al potere grazie al supporto di una cricca interna che non vuole abbandonare il saccheggio del paese; dall'altra, si osserva una popolazione ridotta letteralmente alla fame e privata di ogni diritto.
Dei personaggi che derubano il paese si conoscono i nomi: è l’élite politico-militare che permette al regime di sopravvivere. Non si conoscono invece i nomi di tutte le vittime, in gran parte ragazzi, che in questi anni sono morti nell'inferno di Marange. Ufficialmente sono finora 214, ma le cifre reali sarebbero nell'ordine di alcune migliaia, considerando il fatto che bambini e uomini sono costretti con la forza dall’esercito a lavorare nelle miniere, patendo fame e sete. Chi si oppone a questa forma di schiavitù viene torturato. Non si conoscono nemmeno i nomi di tutti i morti per colera, per mancanza di medicine, per fame.
Raffaele Masto
Racconti dall’inferno di Marange
Uccisioni sommarie
“Per sfuggire alle esazioni dei poliziotti corrotti, avevamo deciso di fare i nostri scavi di notte, in pieno buio. Stavamo lavorando, quando sopra di noi è stato sparato un razzo illuminante. Il luogo dove eravamo in un attimo fu rischiarato come in pieno giorno. Poi all’improvviso una trentina di poliziotti cominciarono a spararci addosso con dei fucili automatici Mossberg. Quattro di noi erano in un tunnel. Il trambusto di chi fuggiva fece crollare il tunnel. Rimasero intrappolati mentre tutti noi scappavamo in ogni direzione per sfuggire alle pallottole dei poliziotti. Ho contato tre miei compagni colpiti a morte.”
Abusi sulle donne
“Ero in compagnia di altre tre donne. Eravamo andate ad attingere acqua al pozzo del villaggio. Due poliziotti con cani ci hanno accusato di essere le cuoche dei cercatori di diamanti. ‘Vi daremo una lezione’ – ci hanno detto. Ci hanno ordinato di inginocchiarci, di toglierci la blusa e di restare a petto nudo. Allora hanno aizzato i cani contro di noi. Noi tutte abbiamo avuto morsi e ferite ai nostri seni. Alla fine i poliziotti ci hanno detto: i nostri cani mangiano solo seni di donna”.
Manodopera minorile
“Lavoravano con noi dei ragazzi di 10-15 anni. Ci sorvegliavano tutto il giorno dei soldati armati. Cominciavamo alle 7 e si continuava ininterrottamente per 11 ore, fino al tramonto, adulti e ragazzi. Gli uomini effettuavano lo scavo, mentre le donne e i ragazzi portavano fuori il pietrisco e lo trasportavano a spalla fino a un corso d’acqua. Spesso erano le donne e i ragazzi che setacciavano il pietrisco alla ricerca dei diamanti. Ma gli uomini armati erano in piedi dietro di loro, pronti ad afferrare i diamanti, non appena apparivano nel setaccio. Erano i soldati che andavano nei villaggi e requisivano i ragazzi per fare questo lavoro. Ogni villaggio, a turno, doveva fornire manodopera.”
Fosse comuni
"Il giorno 8 novembre ho scoperto 22 cadaveri in via di decomposizione vicino alla diga di Chiadzwa. Ho riferito la mia scoperta al mio capo-villaggio. Nessuno dei morti erano abitanti del mio villaggio. Il giorno seguente ho visto avvicinarsi alla fossa un bolldozer: alla guida c'erano alcuni minatori, diretti da un gruppo di soldati armati e in uniforme. Il bulldozer ha scavato una grande fossa. Poi ha fatto rotolare nella fossa i cadaveri e li ha coperti di terra. Probabilmente si trattava di cercatori di diamanti, uccisi e fatti sparire dai soldati."
Tratto da: Human Rights Abuses in the Marange Diamond Fields of Zimbabwe
Fonte: missioni-africane.org