domenica 25 gennaio 2015

Il sempre più labile confine tra economia legale ed economia criminale

E' sempre più labile, dentro il sistema capitalistico, il confine tra economia legale ed economia criminale.
Le imprese "legali" evadono il fisco e gli oneri previdenziali, delocalizzano le sedi produttive e fiscali sfruttando le falle nelle norme nazionali e internazionali, esportano capitali all'estero, pagano tangenti per ottenere commesse e lavori dal pubblico e dal privato, corrompono i politici per ottenere norme a sé favorevoli, violano le norme sulla sicurezza del lavoro e per il corretto smaltimento dei rifiuti in particolare di quelli tossici, mettono in commercio prodotti adulterati o contraffatti o addirittura nocivi, realizzano pratiche speculative nei 'liberi' mercati finanziari e delle materie prime per alterare la formazione dei prezzi ed ottenere extraprofitti, manipolano l'opinione pubblica per indurre bisogni inesistenti o che non avrebbero un carattere primario per piazzare i propri prodotti (un esempio per tutti: il vaccino per il virus dell'aviaria). L'Ilva di Taranto e l'Eternit di Casale Monferrato che tante vittime hanno mietuto non sono certo fabbriche clandestine o i cui proprietari sono od erano esponenti della criminalità organizzata.
Coloro che detengono gli ingenti proventi derivanti da attività formalmente vietate dalla legge - traffico di stupefacenti, di esseri umani, di rifiuti tossici, di armi, sfruttamento della prostituzione, usura, estorsioni, rapine, ecc. - hanno a loro volta la necessità di far emergere legalmente tali capitali (il riciclaggio) e trovano nell'acquisizione di aziende operanti nei mercati "legali" il canale privilegiato per poterlo fare. L'obiettivo non è tanto quello di fare "l'affare", impossessandosi di imprese in grado di produrre ulteriori profitti, quanto quello di dare una copertura verosimile alle ricchezze accumulate e ai flussi di denaro illeciti che continuano a ricevere. I settori economici che vengono comunemente identificati come quelli che maggiormente si prestano a raggiungere tale obiettivo sono quelli non sottoposti a particolari controlli e caratterizzati da incassi monetari continui e rilevanti dentro i quali si possono occultare i ricavi derivanti dal crimine: supermercati, bar, ristoranti, tabaccherie, agenzie di scommesse, compro-oro.
Secondo uno studio della Coldiretti ammonta a 16 miliardi di euro l'anno il fatturato delle mafie nell'agroalimentare e nella ristorazione (5.000 esercizi sarebbero in mano alla criminalità organizzata). Non c'è solo la distorsione della concorrenza, l'estromissione con le buone o le cattive dal mercato delle imprese oneste ma la tragica constatazione che una larga fetta di uno degli elementi fondamentali per la vita sociale - il cibo - sia in mano a soggetti criminali senza scrupoli.
In realtà la cosiddetta economia legale e quella criminale o di derivazione criminale tendono sempre più ad omogeneizzarsi, a sovrapporsi, a confondersi, ad integrarsi: o per la convergenza dei rispettivi interessi o per la conquista delle imprese da parte delle mafie che certamente la crisi di questi anni agevola e incentiva.
Da questo punto di vista Mafia Capitale rappresenta un esempio emblematico: l'impresa legale (addirittura, nel caso dello scandalo romano, l'impresa sociale del terzo settore per di più appartenente alla galassia delle cooperative "rosse") organicamente alleata con le cosche criminali.

MAFIE ATTOVAGLIATE - SONO I TAVOLI DEI RISTORANTI GLI ULTIMI “SCHERMI LEGALI” DIETRO I QUALI SI CELA UNA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA SEMPRE PIÙ INTEGRATA NELL’ECONOMIA REGOLARE - INVESTIMENTI ILLEGALI FAVORITI DALLA CRISI

Nuova indagine della Coldiretti: cinquemila ristoranti in mano alla criminalità organizzata, il giro d’affari sfiora i 16 mld di euro - Cosa nostra punta su aziende agricole e supermercati, la camorra su bar e trattorie - Le migliaia di ristoranti sotto controllo delle cosche non sono solo al Sud, ma si trovano in tutte le regioni italiane...

Massimo Malpica per “il Giornale”
Cinquemila tra ristoranti e bar, dal locale di lusso alla trattoria fino alla catena in franchising, e un giro d'affari che sfiora i 16 miliardi di euro, con una crescita del 10 per cento rispetto allo scorso anno. Numeri lusinghieri, e proprio per questo preoccupanti.
Perché si riferiscono agli «investimenti» delle mafie nell'agroalimentare e nella ristorazione italiana, un business legale di copertura a cui le organizzazioni criminali guardando con sempre maggiore interesse, stando ai numeri snocciolati dal terzo rapporto agromafie di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e nel sistema agroalimentare presentato ieri.
La penetrazione di mafia, 'ndrangheta e camorra in una delle eccellenze del Paese è insomma un fenomeno in preoccupante crescita negli ultimi anni, anche «grazie» alla crisi economica. La criminalità organizzata può infatti contare su ingenti capitali provenienti dai suoi affari illeciti, giocando sul campo della ristorazione una partita truccata rispetto ai competitor «legali» alle prese con il difficile momento dell'economia.
I 5mila ristoranti in odor di mafia, invece, possono prosperare anche in congiunture difficili, e addirittura espandersi per facilitare le attività di riciclaggio del denaro «sporco» guadagnato dalla struttura meramente criminale che li controlla. Tra gli ultimi trend, rilevati dal rapporto sulle Agromafie, c'è appunto l'apertura di franchising, con filiali sparse non solo in Italia ma anche in tutto il mondo.
Naturalmente c'è chi preferisce diversificare. Come Cosa Nostra, che sembra privilegiare l'acquisto o la creazione di aziende agricole e attività legate alla grande distribuzione alimentare, tra centri commerciali e supermercati, mentre la Camorra concentrerebbe i suoi investimenti soprattutto in bar e ristoranti.
Insomma, le attività di copertura della criminalità coprono buona parte della filiera dell'agroalimentare, per un giro d'affari complessivo per l'Agromafia di circa 15,4 miliardi di euro. Tra i settori più a rischio, appunto, la ristorazione, con una stima di oltre cinquemila locali controllati dalle organizzazioni criminali che lo considerano «uno dei settori maggiormente appetibili».
Il livello di contaminazione ha anche altri aspetti critici. Come ricorda il rapporto sulle Agromafie, infatti, «la frequenza con cui si verificano questi fatti si accompagna a un cambiamento culturale: fare affari con esponenti delle organizzazioni mafiose viene spesso considerato “normale”, inevitabile se si vuole sopravvivere».
E «inevitabile» finisce per essere considerato anche «non rispettare regole percepite come ingiuste, soffocanti per chi gestisce un'azienda, a cominciare dalla pressione fiscale».
Sono dunque i tavoli dei ristoranti gli ultimi «schermi “legali” - spiega ancora lo studio - dietro i quali si cela un'espansione mafiosa sempre più aggressiva e sempre più integrata nell'economia regolare».
Integrata e capace, se è vero che le mafie italiane «si muovono ormai come articolate holding finanziarie, all'interno delle quali gli esercizi ristorativi rappresentano efficienti coperture, con una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all'origine dei capitali».
Individuarne le attività è insomma difficile, anche perché l'intero mondo della ristorazione è a rischio. E nemmeno la dislocazione geografica è un discrimine per le organizzazioni criminali che intendono riciclare i propri soldi sporchi: le migliaia di ristoranti sotto controllo mafioso non sono solo al Sud, ma si trovano in tutte le regioni italiane, sia nelle grandi città che nei piccoli centri della provincia.

Fonte: veritaedemocrazia.blogspot.it 


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