“Grazie a Dio si può tornare indietro./Anzi, si deve tornare indietro./Anche se occorre un coraggio che chi va avanti non conosce.”. Con queste parole Pier Paolo Pasolini parlava del mondo consumista, quando questo già lasciava intravedere – sebbene agli occhi di pochi – la sua potenza devastatrice. “C’è un’ideologia reale e incosciente che unifica tutti: è l’ideologia del consumo. Uno prende una posizione ideologica fascista, un altro adotta una posizione ideologica antifascista, ma entrambi, davanti alle loro ideologie, hanno un terreno comune, che è l’ideologia del consumismo. (…)Ora che posso fare un paragone, mi sono reso conto di una cosa che scandalizzerà i più, e che avrebbe scandalizzato anche me, appena 10 anni fa. Che la povertà non è il peggiore dei mali, e nemmeno lo sfruttamento. Cioè, il gran male dell’uomo non consiste né nella povertà, né nello sfruttamento, ma nella perdita della singolarità umana sotto l’impero del consumismo”.
Se sia realmente possibile “tornare
indietro”, tornare ad una seria umanità, è difficile prevedere. C’è da
dire però che noi occidentali non ci stiamo neanche provando. Anzi, ben
radicati sul nostro binario morto del turbocapitalismo monopolista e
neocoloniale, l’efficientissimo motore del consumo, tentiamo addirittura
di fare ulteriori passi avanti nella discesa verso il raggiungimento
della bestia. E sarebbe in effetti impensabile assistere ad una seria e
profonda ammissione di colpa, da parte di una cultura così egocentrica
come quella europea, che preferirebbe – anzi preferisce – il suicidio
piuttosto che il pentimento. Eppure, in altre parti del mondo, c’è
qualcuno che sta almeno esplorando nuove vie: si tratta ad esempio dei
paesi del Sud America, che “grazie” alle loro vicissitudini storiche
comuni – prima delle quali lo spudorato asservimento fino a tempi
recenti agli Stati Uniti d’America – iniziano a deviare la rotta
rispetto all’orbita liberista occidentale. Venezuela, Cuba, Ecuador,
Bolivia, Argentina, Nicaragua, Brasile: ognuno con le sue peculiarità,
ognuno con la sua storia di emancipazione dal colonialismo, ognuno con
le sue difficoltà interne. Però tutti con l’obiettivo primario di
ritagliarsi un “ruolo” – che nella geopolitica è sinonimo di
“indipendenza” – sul palcoscenico mondiale, attraverso una solidarietà
reciproca che passa per le varie realtà “non-allineate” del nuovo
millennio: Cina, Sud Africa, Siria, Russia, Iran, India.
“Brics”, vengono definiti; “mattoncini”
per tentare di costruire poli alternativi a quello statunitense;
sinergia di economie per abbattere il monopolio di quelli che un tempo
furono i “garanti del libero mercato”. Perché uno degli effetti
boomerang dell’istituzione del villaggio globale, è che ogni giorno ci
viene sbattuto in faccia il costo effettivo del nostro monopolio di
libertà. Milioni di nuovi schiavi migrano cercando di sfuggire al loro
destino di “produttori low cost”, abbandonano le loro terre e vengono ad
infoltire le fila dei nostri lavoratori precari: un prezzo
sufficientemente disumano per ritenere questo sistema globalmente
insostenibile. L’Occidente, culla della democrazia, fonte del Diritto e
della Libertà, si sta confermando anche imbattuto leader di ipocrisia.
D’altronde stiamo parlando di persone che predicano pace porgendo
l’altra bomba, auspicano la democrazia imponendo governi fantoccio,
offrono laicità in cambio di fanatismo del Feticcio. Moralismo, bieco
nei confronti dell’altro e cieco nei confronti di sé stesso: a questo, e
pochissimo altro, si sta autoriducendo l’universo occidentale.
Adesso, pensare che l’altro
“schieramento” sia mosso da una omogenea e fondante volontà di
ripristinare i veri valori dell’uomo, sarebbe ingenuo e superficiale. È
però probabile che questo possa essere il risultato di una effettiva
redistribuzione delle forze in gioco, accompagnata da una vera pluralità
di soggetti geopolitici. Quello che invece sicuramente abbrutisce, e lo
si constatata ogni giorno, è l’appiattimento di ogni differenza;
l’omologazione, catalogazione e standardizzazione di ogni personalità in
quanto potenziale oggetto di scambio nell’unico mercato esistente; la
reductio ad mercem del mondo intero. Per contrastare tutto ciò è
necessaria una rivoluzione profonda, culturale: difficile. Eppure da
qualche parte bisogna iniziare. Se dunque, per ora, la presenza di un
banco è necessaria, finché questo deterrà anche il monopolio delle
giocate nessun giocatore potrà mai prendere l’iniziativa, e questo è il
“male assoluto”. Scardinare il monopolio del banco diventa allora una
questione di priorità.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/i-paesi-non-allineati-come-alternativa-al-mondialismo-2/