sabato 30 novembre 2013

Rimborsopoli Lega, tutto in “famiglia”

Nelle carte dei giudici emerge la vera essenza di un partito che antepone la propria rete familistica all'istituzione che governa. Lo dimostra il caso della parentopoli regionale o l'ancor più celebre questione delle quote latte

Di ALBERTO GAINO

Dalle carte di Rimborsopoli emerge la vera cultura politica leghista e può essere la chiave di spiegazione del dono dell’ubiquità di RobertoCota e di altri maggiorenti del partito fondato daUmberto Bossi e suoi degni eredi: avendo un budget a disposizione come gruppo consiliare a Palazzo Lascaris, l’hanno utilizzato per quanto è stato possibile attingervi. Cioè, hanno preso tutte le ricevute e gli scontrini fiscali – par di capire – per spese della “famiglia” e se le sono fatt rimborsare, dopo averle  individualmente autocertificate ed essere state avallate dal capogruppo Mario Carossa. Il partito di lotta, nel momento in cui diventa di governo, dà prova di preoccuparsi della propria bottega familiare;  non della “macro-regione del Nord”. Nella testa dei leghisti la vera Padania è rimasta quella creata dal Senatur: la “famiglia” con le sue camicie verdi, i  propri riti di iniziazione,  lo zoccolo duro dei militanti, tutto ciò che si sposa con le “origini” del fenomeno “secessionista”. Abbandonato per la più prosaica appropriazione di risorse pubbliche, destinate alla “famiglia”, intesa sia come partito sia come singoli suoi esponenti e relativo parentame.

Che sia la figlia di Carossa, come segretaria del Presidente, a dover rispondere di quei rimborsi, secondo le dichiarazioni dello stesso Cota, è solo una contraddizioni in termini:  nella scomoda posizione di indagato, di fronte al procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli,  all’aggiunto Andrea Beconi e ai pmEnrica Gabetta e Gian Carlo Avenati Bassi, Il presidente della Giunta regionale Piemonte “rivela” che è stata lei ad occuparsi dei rimborsi intestati a lui. E’ plausibile che sia andata così, ma la balla vera, in ogni caso la più grossa – moralmente e politicamente – Cota la pronuncia in quella sede nascondendosi dietro le spalle di una segretaria, per quanto della “famiglia”.


A prescindere dalla destinazione finale dei rimborsi – nelle tasche del Presidente, che nella medesima circostanza dichiara di avere sempre i conti bancari in rosso, o nelle casse del partito o di qualcun altro della “famiglia” – il vero nodo è la grande “confusione” che Cota dimostra come figura istituzionale rispetto all’uso privato di fondi pubblici. A questo punto, i suoi comportamenti e le spiegazioni che dà ai magistrati anche sulle singole spese contestate non sono piuttosto figlie di quella cultura leghista, già vista nell’affaire delle quote latte?

I Cobas del latte, capeggiati da un celodurista della prima ora, l’ex senatore Robusti, appartengono a pieno titolo alla “famiglia” che - attraverso i propri rappresentanti istituzionali e gli amministratori pubblici espressi, sino all’allora ministro dell’Agricoltura, Luca Zaia -  li ha protetti in ogni modo.  Non contava e non conta tuttora che lo sforamento continuo, per anni, delle quote latte da parte di costoro si sia tradotto in multe salate da parte dell’Unione europea a carico di tutti gli italiani.  E che i Cobas,  supportati dalla “famiglia”,  abbiano realizzato una concorrenza sleale agli altri allevatori piemontesi, lombardi e veneti. La storia è nota ed è stata svelata nei suoi meccanismi truffaldini nel corso di più di un processo penale.

Rispetto a questi scenari (di centinaia di milioni di euro di multe europee), è chiaro che fa sorridere il rimborso del pacchetto di sigarette della marca che Cota non fuma, o così dice. Appaiono un po’ meno comici gli altri rimborsi di “genere” di cui si sono occupati con grande attenzione alcuni quotidiani. Dal 26 pomeriggio li abbiamo messi in rete e sono consultabili da chiunque, insieme ai verbali di interrogatorio di Cota: fatevi un’idea voi direttamente sia sui dettagli sia sull’insieme dell’atteggiamento di Cota.

A noi ha molto colpito il suo “incipit” di fronte ai magistrati di Rinborsopoli: “Nella mia vita politica, come presidente della Regione e quindi della Giunta, ho improntato l’attività a finalità di riduzione dei costi della politica, nell’esigenza di contenere la spesa pubblica…”.

Cota si presenta con questo biglietto da visita al procuratore capo di Torino e ai magistrati che hanno messo le mani sulle spese autocertificate del Consiglio regionale del Piemonte. E’ l’11 gennaio scorso: il Presidente si è affrettato a chiedere l’interrogatorio (il primo dei due che affronterà). Evidentemente ad un presunto Catone dei nostri tempi, così impegnato a far risparmiare i contribuenti, non par vero di poter essere indagato di peculato e, se lo sospetta, deve impedire una tale onta. E’ un uomo di annunci, Cota.  La sua politica è tutto un annuncio. Si prende ogni merito, e lo fa pure in anticipo sui risultati.

Finpiemonte, la “banca” della Regione, si è rivelata un colabrodo nell’erogazione di fondi mirati al rilancio dell’economia piemontese. La magistratura è intervenuta scoprendo che milioni di euro erano stati consegnati a fondo perduto a tanti piccoli imprenditori sulla base di progetti che sulla carta sembrano chissà che e che, alla verifica dei fatti, si sono rivelati spesso gonfiati nei costi e comunque molto poco incisivi rispetto all’obiettivo istituzionale. Ne è seguita un’indagine penale che ha portato al recupero di ormai 2 milioni di euro.

Cota si è intestato questo merito, e prima di lui ci ha provato l’assessore di allora,  Massimo Giordano, anch’egli leghista. Un primo milione e mezzo è stato fatto riavere alla Regione da molto tempo, vincolato all’acquisto di attrezzature sanitarie salvavita per gli ospedali pubblici. Il Presidente se ne scorda e quando prova a prendere in contropiede il governo centrale – che aveva dimenticato di rimborsare i danni subiti con atti di sabotaggio da imprese impegnate nei cantieri Tav in Valsusa -  lo fa annunciando che ci metterà lui una pezza, usando proprio quel milione e mezzo.

Uomo della “famiglia” fin da quando scodinzolava appresso al Senatur, annunciatore di professione, il Presidente fa pure una pessima figura istituzionale dichiarando di aver fatto lui la spesa – 250 euro di generai alimentari “piemontesi”, coerentemente addebitati ai contribuenti piemontesi – per una cena al “ministero dell’Economia” (diretto allora daTremonti, un amico della “famiglia”) per valorizzare la cucina piemontese. Quel Presidente che arriva a Roma con il pacco della carne da far cuocere al desco ministeriale è l’immagine che oggi pare più consona di lui. Un Presidente piccolo piccolo.


Fonte: lospiffero.com

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